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Con la puntata “Amata mortale” si conclude il ciclo dei nostri Labirinti letterari e musicali, andati in onda nel corso di tutto il 2020 sulle frequenze di Radio Popolare. Avevamo iniziato con il romanzo storico e proseguito attraverso la fantascienza, il racconto erotico, la psichedelia, l’omaggio ad Andrea Coralli, la letteratura politica comunista. Finiamo con un piccolo zibaldone poetico dedicato all’amore, contrappuntato da sette movimenti tratti da sette sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven (quasi tutti in forma integrale).
Come abbiamo già scritto altrove, il nostro modo di interpretare lo spirito del labirinto musicale è quello di muoverci attraverso la rappresentazione di una narrazione sonora che trova due modalità espressive integrate: le parole di un grande scrittore da una parte e le note di un grande compositore dall’altra. In certi casi questa relazione ha generato una sorta di horspiel o radiodramma, nel quale la narrazione accompagna l’ascoltatore in una vera e propria rappresentazione teatrale (“La peste di Londra di Daniel Defoe” e “Orgasmi reali vs orgasmi musicali”), altrove invece si è organizzata una specie di conduzione radiofonica vera e propria: ovvero con un dj che “intrattiene” leggendo dei testi (racconti o poesie) intrecciati in modo sistematico con la musica (“Io e Andrea”).
Nel caso di “Amata mortale” ci si riaggancia a quest’ultima modalità: il tema – come detto – è l’amore, la musica è quella di Beethoven e il dj (in questo caso unica voce recitante) sono io.
Andiamo quindi per ordine.
Mancando una trama drammaturgica in questo caso si è proceduto alla costruzione di uno schema che potrebbe ricordare quello della sonata classica ovvero dei 3 movimenti (raramente 4) che si susseguono. In questo caso però le alternanze non sono solamente basate sulla contrapposizione dei tempi allegro/adagio, bensì su una più specifica correlazione di atmosfere o stati d’animo messi in rapporto di affinità con il testo poetico.
Due macro-sezioni si dividono l’ora di trasmissione secondo – per gli amanti della forma – lo schema: 3 + 4 + finale.
Il Labirinto si apre quindi con Dante Alighieri (1265-1321) e la lettura della parte conclusiva del V Canto dell’Inferno: l’incontro con Paolo e Francesca. Il vento tace, l’atmosfera è sospesa, l’amore tra i due amanti, come ci viene presentato, diventa modello assoluto dell’amore immortale per i secoli a venire. Si doveva accostare qualcosa di assoluto come il primo movimento, Grave Allegro, dalla Sonata n.8 op.13 “Patetica” in do minore (1798) nell’interpretazione di Wilhelm Kempff (un capolavoro anche dal punto di vista interpretativo), attorno al cui incipit si crea una sinestesia che rende plastico l’ultimo verso di Dante: “E caddi come corpo morto cade“. Gli esperti di teorie della percezione possono spiegarci perché in casi come questo vediamo realmente ciò che ascoltiamo soltanto.
Il secondo episodio vede protagonista Beethoven anche come scrittore, qui con la celeberrima “Lettera all’amata immortale” (1812), sulla cui identità misteriosa la musicologia ha abbondantemente dibattuto. Ne leggiamo un estratto su un piccolo effetto sonoro di una penna stilografica che scorre su un foglio, cercando di cogliere la qualità vocale di un sussurro che accompagna la scrittura di Beethoven fino ai saluti finali: “eternamente tuo, eternamente mia, eternamente nostri”. L’intensità della lettera trova un aggancio con il secondo tema dell’Adagio della Sonata n.3 op.2 in do minore (1795), il cui secondo movimento viene qui prescelto nella splendida interpretazione di Vladimir Ashkenazy (il taglio del primo tema dell’Adagio è una licenza poetica che ci siamo concessi i virtù dell’enorme pathos che si crea sull’arpeggio del secondo tema del movimento).
Con la Sonata n.24 op.78 in fa diesis maggiore (1809) dedicata a Therese von Brunswick, profonda ammiratrice del Maestro e, secondo alcune ipotesi, una delle possibili “amate mortali” della sopracitata Lettera, abbiamo suggerito (per i più dotti) un duplice legame logico (e ironico) tra l’episodio precedente e il successivo con il sonetto “Sent Teresin, m’en s’eva daa anca mi” (o con altro titolo: “Per una puttana”) (1810-1813) del grande poeta milanese Carlo Porta. La dedicataria beethoveniana e la prostituta milanese: due contemporanee omonime, dai destini assai differenti. Con Porta si cambia quindi completamente registro, gli amori si fanno corporei e sbracati. Nel meraviglioso quadretto poetico il poeta raffigura se stesso declamare dopo il “servizio”, come se nel mentre si allacciasse i pantaloni… Il brillante e virtuosistico Allegro vivace, qui interpretato da Alfred Brendel, riesce a dare la giusta coloritura brillante e leggera.
La seconda parte si apre con un salto temporale che ci porta nel mondo dei poeti metafisici inglesi con “Alla sua amante ritrosa” (“To his coy Mistress”) di Andrew Marvell (1621-1678), un invito amoroso a cogliere l’attimo fuggente attraverso una serie di immagini che mescolano mordace realismo e visionaria metafisica. Il testo è stato letto in funzione del tempo musicale dell’Allegro con brio dalla Sonata n.21 op.53 “Waldstein” in do maggiore (1803-1804), che inizia con un rapido tema accordale ribattuto che si aggancia perfettamente alla parola “correre” del finale del testo di Marwell (ci abbiamo giocato sopra quasi come in un’immagine di un cartone animato). L’impeccabile esecuzione di Mikhail Pletnev, appassionatamente metronometrica, ci è sembrata collimare perfettamente con l’urgenza amorosa di Marvell, da una parte, e il correre de “l’alato carro del Tempo che si avvicina veloce”, dall’altra.
Uno dei poeti che ha corso moltissimo, o meglio, vagabondato in giro per il mondo è stato senz’altro Arthur Rimbaud che, tra una tappa e l’altra, traccia gustosissimi acquarelli come “Alla bettola verde – le cinque di sera” (“Au Cabaret-Vert, Cinq heures du soir”) (1870), che inizia quasi come la prosecuzione poetica della Waldstein: “Da otto giorni strappavo ormai gli stivalini per strade sassose”. Al sereno quadretto fatto di riposo e maliziosi approcci con la cameriera “ridente” si aggancia lo Scherzo Allegro dalla Sonata n.4 op.7, “Grande Sonata” in mi bemolle maggiore (1796-97) con un sereno e disteso Arturo Benedetti Michelangeli, collocato dopo la bevuta di un copioso boccale di birra!
Un piccolo effetto sorpresa, per non appensantire troppo lo schema di alternanze, con l’ambientazione di “Eros” di Umberto Saba: una delicata musichetta da Varietà, proprio perché a quel mondo si riferisce quest’altro delizioso siparietto, rompe il continuum bethoveeniano: “Sul breve palcoscenico una donna / fa, dopo il Cine, il suo numero”. L’avanspettacolo è stato per buona parte del Novecento un’apprezzatissima forma di teatro popolare e probabilmente un luogo di emancipazione sessuale unico in un paese come l’Italia. Saba ce lo racconta da par suo, con uno sguardo acuto e incredibilmente auto-ironico (“forse a sua madre pensa”). La musica che abbiamo utilizzato come sottofondo della nostra recitazione (quanto più possibile a tempo con la musica) è la sigla di un bel film TV sul Varietà dal titolo “Stelle, stellacce, stelline” (1985-86) di Vanna Paoli. Segue il Presto agitato dalla Sonata n.14 op.27 n.2 “Chiaro di Luna” in do diesis minore (1801), legato all’ultimo verso della poesia di Saba che termina con un’eccitazione sessuale da “marcia guerriera”. Con un effetto volutamente ironico, ma non certo irrisorio, si vuol mettere in relazione l’elaborazione ormonale del “giovanetto” osservato da Saba che sembra guidare l’elaborazione estetica della “musichetta da trivio” in una delle più celebri cavalcate pianistiche della Storia, qui nelle mani sapienti di Rudolf Kerer.
Altro piccolo diversivo: il dialogo a tre (inventato dal sottoscritto e recitato in pseudo-milanese) tra un ipotetico regista, un assistente e l’ultimo poeta in programma ovvero Giuseppe Gioacchino Belli (“el rumàn”): “qui manca il finàl…”. Il Belli, dall’irresistibile mordente romenesco, si lancia nella lettura del suo sonetto “Li manfroditi”, dedicata a coloro che il Belli e la sua epoca consideravano dotate di doppio genere sessuale (oggi diremmo transgender). Figure che dal mito classico vengono qui calate in una raffigurazione popolaresca, dai toni sardonici e lievemente irriverenti, che il Belli aveva ereditato dal Porta. La chiusura musicale del Labirinto è affidata all’op.111, ultima sonata di Beethoven, spesso messa in relazione con mondi novecenteschi come il jazz. L’Arietta dell’Adagio molto semplice e cantabile dalla Sonata n.32 op.111 in do minore (1821-22) viene qui estrapolata inizialmente con la sua Terza variazione, in modo eretico, tralasciando cioè (per il momento) l’Arietta stessa. L’andamento canzonato, dai modi quasi rag-time, di tale variazione ci sembrava calzare bene il Sonetto del Belli e l’esecuzione di Glenn Gould anch’essa molto giuliva e saltellante (e cantata) è stata scelta per questo motivo.
Infine i titoli di coda e la parafrasi ironica della “Lettera all’amata immortale” per rilanciare l’incipit della ieratica Arietta così come era stato fatto precedentemente con l’Adagio della Sonata n.3 op.2. Cambia però il pianista: in questo caso non è più Gould, ma torna ad essere il ben più solenne Ashkenazy.
Michele Coralli
Ascolti:
- Grave Allegro, dalla Sonata n.8 op.13 “Patetica” in do minore (1798) – Wilhelm Kempff
- Adagio dalla Sonata n.3 op.2 in do minore (1795) – Vladimir Ashkenazy
- Allegro Vivace dalla Sonata n.24 op.78 in fa diesis maggiore (1809) – Alfred Brendel
- Allegro con brio dalla Sonata n.21 op.53 “Waldstein” in do maggiore (1803-1804) – Mikhail Pletnev
- Scherzo Allegro dalla Sonata n.4 op.7 “Grande Sonata” in mi bemolle maggiore (1796-97) – Arturo Benedetti Michelangeli
- Presto agitato dalla Sonata n.14 op.27 n.2 “Chiaro di Luna” in do diesis minore (1801) – Rudolf Kerer
- Adagio molto semplice e cantabile dalla Sonata n.32 op.111 in do minore (1821-22) – Glenn Gould / Vladimir Ashkenazy
Letture da:
- “La Divina Commedia” di Dante Alighieri (testo critico a cura di Giorgio Pedrocchi), Piccola Biblioteca Einaudi 1975.
- “Beethoven – L’uomo” di A. Albertini, F.lli Bocca 1942.
- “Le poesie” di Carlo Porta, a cura di Carla Guarisco, Universale Economica Feltrinelli 1976.
- “Poeti metafisici inglesi” a cura i Roberto Sanesi, Guanda 1990.
- “Poesie” di Arthur Rimbaud, traduzione di Gian Piero Bona, Einaudi 1973.
- “Poeti italiani del Novecento” a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Mondadori 1983.
- “Sonetti” di Giuseppe Gioacchino Belli, a cura di Pietro Gibellini, Mondadori 1984.
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