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Dopo la programmazione radiofonica de “La Peste di Londra di Daniel Defoe” (riadattamento radiofonico da “Journal of the Plague Year”, vedi) l’idea di creare una trilogia di storie letterarie radiofoniche ha preso piede durante la mia continuazione della quarantena da COVID-19, nel corso della primavera 2020. Così, quasi immediatamente, mi è venuta l’idea di spingermi nel territorio della fantascienza, o – come si diceva un tempo – della “letteratura dell’anticipazione”, definizione che rende ancora più sinistre certe visioni.
Inutile spiegare perché la scelta sia caduta su uno dei miei autori preferiti, ovvero Philip Dick che negli anni ‘50, in attesa dei grandi capolavori degli anni ‘60 e ‘70, cercava strade espressive attraverso piccoli racconti che pubblicava su riviste come Magazine of Fantasy and Science Fiction o Science Fiction Quarterly allo scopo di sperimentare tematiche e racimolare guadagni, scarsi ma immediati.
Con questo, molti racconti di Dick di quell’epoca sperimentale contengono in sé visioni ampiamente percorse in tempi successivi. Una su tutti l’invenzione del gioco della bambola Perki Pat, immaginata per la prima volta in “The Days of Perky Pat” (1962) e reintrodotta in “The Three Stigmata of Palmer Eldritch” (1964). E altro non è, se non una geniale predizione di un mondo social che, al posto delle tecnologie digitali, utilizza l’arte del bricolage e una capacità visionaria indotta da una fortissima propensione allucinatoria.
Nel confezionare due racconti andati in onda su Radio Popolare, domenica 24 maggio 2020, ho optato per due storie minori, ma che mi sembrava, pur nella loro brevità, potessero contenere alcune caratteristiche come l’invenzione narrativa pura, al limite del delirio schizofrenico, e il volo pindarico nel flusso degli eventi che si snocciolano in modo inaspettato, seppure in una forma breve, come quella del racconto.
La scelta è caduta quindi su “La macchina salvamusica” (The Preserving Machine, 1953) e “Souvenir” (1954), due racconti che accolgono due grandi temi della fantascienza: il futuro distopico, frutto dell’autodistruzione a cui sembra costantemente tendere la nostra specie e la sete di colonizzazione spaziale, nonché le ansie per probabili (o inevitabili) svolte totalitarie dei sistemi politici del futuro.
Per quanto riguarda il primo racconto la scelta dei brani musicali da accostare – visto che il format dei “Labirinti musicali” che mi ha ospitato è quello di una trama musicale attorno a uno o più temi – nel caso del primo racconto è apparsa obbligata, visto che è proprio Dick a suggerirli.
Si parte infatti con una Partita di Bach, la n.14 in SI bemolle suonata da John Clancy (e, questa volta, non da Walter Carlos). Si entra poi subito in un’ampia pagina cameristica, genere molto apprezzato da Dick che arriva a indicare espressamente il Quintetto in Sol Minore K 516 di Mozart (qui, Adagio ma non troppo e Allegro finale, scelti nell’esecuzione storica del Quartetto Amadeus), composizione attraverso cui iniziano gli esperimenti sulla macchina appena inventata, e l’Allegro dell’ultimo Trio di Schubert, il n.2 in MI bemolle, nell’esecuzione del Trio di Parma.
Da qui in poi inizia una serie di trasformazioni che portano alla nascita di animali strani che scaturiscono dagli spartiti: animali che si disperdono nei boschi «svolazzando, rotolando e saltando meglio che potevano».
Ecco allora la strana cover di “Yellow Submarine” da parte di un monaco buddista (Kossan, per i più curiosi, uno che si è occupato anche di Queen, Ramones e altri…), il simpatico uccello-Mozart (Aria di Papagheno dal “Flauto magico”, eseguita all’ocarina), lo scarafaggio-Beethoven, “severo e pieno di dignità” (arrangiamento dei Jethro Tull dallo Scherzo della IX Sinfonia, poi l’insetto-Brahms (Danza ungherese n.5 ripresa in chiave bebop dall’European Jazz Trio), poi gli animali Schubert (Momento musicale n.3 in FA minore per glasspiel), Wagner (la “Cavalcata delle Valchirie” in versione dark-metal), poi le cimici-Bach con la Fuga n.5 in RE maggiore dal “Clavicembalo Ben Temperato” nella versione 8-bit di NES (Nintendo Entertainment System), infine Stravinskij con uno stralcio dalla “Sagra della Primavera”, estrapolato dal progetto “Jazz Rock in Stravinsky” di Takeshi Inomata Group.
Il sottofondo che accompagna il racconto è un lungo tappeto omogeneo da “Music for Airports” di Brian Eno, mentre il finale, che forza la situazione descritta dall’autore attraverso un’esecuzione nuovamente in chiave metal e nuovamente dal “Clavicembalo Ben Temperato” bachiano con il Preludio in DO maggiore eseguito da Edgar Hira, gioca su un voluto effetto ironico dato dalle parole finali: «solo facendo un grande sforzo si riusciva a credere che una volta fosse [stata una Fuga di Bach] parte di un’opera ordinatissima e rispettata». In effetti ho apportato un taglio sul cenno alla Fuga, visto che ho scelto il Preludio. Ma questo fa parte del gioco della riduzione, visto che anche il finale viene anticipato, pur lasciando inalterata la storia.
Con “Souvenir” si entra in una trama d’azione, in un classico racconto di scontro tra Mondi che culmina con una vera e propria battaglia spaziale. Per far questo, ho dovuto ricorrere ad un’accurata ricerca e montaggio di suoni (capsule spaziali che atterrano, macchine elettriche che partono, astronavi da guerra minacciose, galleggiamenti nello spazio, spari ed esplosioni). Non entro nel merito di ognuno, ma ci tengo a ricordare che l’esplosione finale del pianeta consiste nell’audio originale dell’esplosione della Bomba Tsar, la più grande bomba all’idrogeno mai fatta detonare su questo pianeta (Unione Sovietica, 1961).
Per quanto molto semplice, la trama prevede la presenza di diversi personaggi e di dialoghi serrati, nei quali si snocciolano i diversi punti di vista della delegazione del Centro di Collegamento Galattico e i pronipoti del Mondo di Williamson, fieri sostenitori di una civiltà indipendente, per quanto arretrata di 3 secoli rispetto al resto della Galassia.
Per rendere più scorrevole il racconto ho coinvolto altre due voci: Marco Aureggi (robotpilota, Gene Williamson e il Comandate Ferris, voci tutte e tre manipolate) e mia figlia Maia, moglie e figlio di Pete Matson, geniere che deposita le testate nucleari sul pianeta e diventa poi vettore di un inaspettato germe di rinascita della civiltà di Williamson… in casa sua!
Per quanto riguarda la musica, ho prima di tutto tinteggiato l’intero racconto con stralci da “Zeit” dei Tangerine Dream. A differenza del precedente “Music for Airports”, qui la musica entra ed esce dal commento drammaturgico con speficiche trame descrittive che si agganciano in modo non casuale alla narrazione (es1: l’anello di “Nebulous Dawn” disegna acusticamente una sfera, quella del pianeta di Williamson e quella dell’astronave di classe A che lo minaccia) o per per ritagliare i diversi piani delle scene, quasi come in un film (es2: momento cruciale della firma dell’annessione: «Rogers allungò la mano verso il mantello e prese una scatola metallica. L’aprì e ne estrasse un documento…».
L’input di definire “scozzese” il Pianeta di Williamson è stato ovviamente colto al volo e allora – vista la mancanza di riferimenti musicali chiari come nella “Macchina salvamusica” – ci si è fatti guidare da qualche suggestione dalla Scozia gaelica (l’antica danza popolare “M’eudail Air Do Shùilean / Làrach Do Thacaidean”), da quella patriottica con il celebre Anthem “Scotland The Brave”, prima in versione Marching Band, poi in versione cantata à la manière inno-country (purtroppo la versione di “Scotland The Brave” che volevo – e che avevo su un disco in vinile lontano – non sono riuscito a metterla…).
Per arricchire il quadro poetico fanno la loro non secondaria comparsa un brano di elettronica sperimentale di Angelo Paccagnini “Sequenze e Strutture” (1961) e un classico del rock progressivo come “Pioners over c” dei Van Der Graaf Generator.
L’orizzonte formale attraverso cui viene confezionata un’ora di trasmissione è quello del radio dramma o horspeil, che ha lunghissime tradizioni che fondano le proprie radici a partire dalla nascita della radio, ma qui, più che mai, l’accostamento che mi è sembrato più naturale è quello con il mondo dei fumetti, i mitici Bonelli in particolare, da Dylan Dog a Nathan Never.
Ed è in questa chiave, che suggerisco la fruizione del programma a chi vorrà ascoltarlo dal podcast qui riportato.
Un Saluto dal mio mondo di Williamson, Anno Galattico 2020.
Michele Coralli
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