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Dopo alcune prove non troppo convincenti del sassofonista elvetico Hans Koch, impegnato con il gotha improvvisativo londinese, si ritorna all’esplosivo trio hardcore chambermusic degli esordi assieme ai compagni Martin Schütz al violoncello e Freddy Studer alle percussioni. I tre impegnano la loro attenzione in maniera preponderante sull’idea di improvvisazione elettronica legata a una potente carica timbrica e ritmica, rinnovando la fusione tra i panorami più concreti e le pulsazioni prese a prestito da generi “vernacolari” quali hardcore, noise e jazz-rock. La miscela convince proprio perché si nega ogni narcisismo citazionista per utilizzare materiali in maniera produttivamente costruttiva.
Chi ha avuto modo di apprezzare l’esibizione di Kock-Schütz-Studer alla Biennale di Venezia modellata dal progetto eclettico e postmodernista di Uri Caine (settembre 2003), si sarà accorto delle capacità di rottura di questo trio che davvero si proietta in un’idea di musica che supera molti generi per porsi al centro dell’attenzione di chi ha nel proprio DNA ascolti tanto diversi quanto lontani tra loro. Ascoltare come suona il violoncello di Schütz in totale saturazione getta nello sconforto chi era abituato a certi spigoli metal dei migliori Naked City con Frisell in stato di grazia. Ma questo è solo uno dei possibili punti di osservazione del trio, la cui maggiore capacità senz’altro quella di stratificare i piani e determinare un ampio ventaglio di approcci possibili.
In certi momenti i battiti tracciano schemi che disarticolano un certo approccio etnico, per ridimensionare un aroma, in altri casi utilizzato solamente in chiave consolatoria, e darne qui una visione smarrita e conturbante al tempo stesso.
Eppure l’amalgama principale è quello dell’improvvisazione, anche se pianificata, alla cui estemporaneità vengono affiancati i colori dei filtri elettronici entro cui vengono passati gli strumenti. Un’improvvisazione però che sa comunicare a un pubblico invece che mettere in mostra più diffusi dialoghi interiori poco condivisi. E in questo, ma non solo, certe musiche “altre” devono molto al rock e a tutti i suoi riti collettivi, laici o pagani che siano.
2004 © altremusiche.it
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