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“Il tango nasce allegro e procace (…) prima di farsi serio e coraggioso per raccontarci il codice d’onore dei compadritos, nostalgico nella delusione dell’emigrante o amaro nel riflettere il malessere di una società in cerca di definizione.” Queste le parole riportate in copertina di Buenos Tangos per tracciare la parabola della musica argentina, dal nascere al suo divenire. Cosa sia diventata nel frattempo, ora che la società argentina vive sull’orlo del collasso, non è chiaro, dal momento che, come genere, sembra aver completamente dismesso il suo ruolo vitale di rappresentazione di uno spazio sociale per essere messo in una statica bacheca.
Naturalmente non si può imputare a chi interpreta il repertorio tradizionale la capacità di riappropriarsi di una dimensione ormai perduta, però non si può non constatare quanto sia vitale quella retorica tipica del mondo tanghero che ama ritornare a Borges, a Piazzolla, alla filologia, alla sensualità e alla passione, come se quel mondo fosse destinato a rimanere immutato e uguale e a se stesso per secoli.
Anche qui il buon ensemble Nuevos Aires (Mariana Bevacqua e Javier Pérez Forte, rispettivamente la pianista e il chitarrista del gruppo) non sembra sottrarsi alla sorte vincolante della tradizione. Ottima la panoramica sul passato in un viaggio che abbraccia un repertorio che vive tra il 1935 e gli ultimi anni ’90 tra Enrique Santos Discepolo, Carlos Gardel, Anibal Troilo. Eppure continua a sembrare più moderno il Piazzolla più trasgressivo o quello più cameristico, a dispetto di quelli che ne hanno contestato le scelte di rottura con la tradizione. Per non lasciare la modernizzazione in mano ad esperienze che impoveriscono il tango come i vari Gotan Project, occorrerebbe ridare un nuovo slancio al genere, magari cercando nuove contaminazioni o cercando un’autonomia dai repertori tradizionali. Eccesso di positivismo? Bisogna pur andare avanti…
2002 © altremusiche.it
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