Taxonomy: “A Global Taxonomical Machine”

Elio Martusciello
Michele Coralli
Taxonomy: A Global Taxonomical Machine (Ambiance Magnétiques, AM 136, 2005)

La breve frase di una chitarra ripetuta e sporcata da una serie di disturbi elettronici che lentamente hanno il sopravvento sull’interno paesaggio sonoro di questa macchina tassonomica globale. Dietro al glitch si nasconde oggi tutto ciò che viene processato, ovvero allontanato da qualsiasi evocazione gestuale a tal punto da far scomparire l’idea stessa del musicista e suggerire invece quella di un’intelligenza artificiale che plasma la musica secondo un proprio disegno, razionale, quanto incommensurabile.

Certe esperienze come quelle di Taxonomy (alias Elio Martusciello, Graziano Lella e Roberto Fega) andrebbero lasciate sedimentare a lungo (anni o decenni), prima di poterne trarne un qualsivoglia tipo di giudizio. Non si tratta di pusillanimità critica, bensì di consapevolezza della necessità di un maggiore distacco storico da molte di quelle esperienze estemporanee che si stanno adunando attorno alle apparentemente infinite possibilità dei processi di manipolazione digitale. Molte delle sperimentazioni che si compiono oggi sono da ascriversi in un contesto che trova l’inizio della propria storicizzazione in molte di quelle musiche del recente passato in stretta relazione con le innovazioni tecnologiche che hanno consentito di allargare le capacità percettive di una buona fetta di ascoltatori.

Certo oggi i laptop senza il giradischi, i nastri Ampex, le valvole AEG e i circuiti modulari farebbero senz’altro un’altra musica, così come i Taxonomy senza Schaeffer, Cage, Riley, e… Marino Zuccheri. Ci sono costruzioni che però sembrano logiche, stabili, incrollabili pur nell’estemporaneità della loro edificazione (vedi Electro-Acoustic Ensemble), altre sfuggono il processo ricreativo che ognuno di noi innalza a Gestalt nell’ascolto di un lavoro anche complesso. Martusciello e compagni sembrano voler continuamente spostare l’angolo di tiro, per rendersi imprendibili e sfuggire ogni inquadratura.

Una caratteristica del genere appartiene senz’altro ai grandi, anche se la creazione di una tassonomia basata sulla forza dell’errore può rilevarsi un progetto tanto utopico, quanto inutile, come già Pierre Schaeffer ha dimostrato con il suo tentativo, andato frustrato, di voler classificare tutti i rumori secondo decine e decine di categorie diverse. Anche la memoria di un laptop, o di mille laptop, per quanto umanamente non quantificabile, si pone come uno spazio segnato da un limite. Ma forse per capirne davvero le potenzialità si dovrà aspettare ancora.

2005 © altremusiche.it

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