Anatrofobia: “Le cose non parlano”

Michele Coralli
Anatrofobia: “Le cose non parlano” (Wallace Records, CD wallace29, 2002)

Si sta facendo un gran parlare di questo gruppo avant-jazz dal nome enigmatico, già sulle scene dal 1990 e capace di riportare in auge quel suono e quegli umori cari alle migliori esperienze post-Rock in Opposition. Cupe atmosfere ossessive di stampo Univers Zero o Magma, nevrotiche poliritmie alla Doctor Nerve, echi più jazz-rock di ascendenza Curlew e bizzarrie irriverenti eredità del migliore Fred Frith: questo l’inventario di un ensemble capace di allestire un comparto di suoni molto ricco e strutturato. Anatrofobia nasce come trio di stampo più marcatamente improvvisativo, per poi ampliare il proprio collettivo a diversi altri musicisti interessati a frequentazioni sperimentali e provenienti dal canavese (area del Piemonte fino a poco tempo fa maggiormente nota per l’ottima gastronomia, più che per una scena avantgarde).

Alessandro e Luca Cartolari (rispettivamente sax alto e basso elettrico), Mario Simeoni (sax tenore) e Andrea Biondello (batteria) formano l’ossatura di un ensemble capace di allargarsi ad altre voci, come la tromba di Gianni Trovero, il fagotto di Alessio Pisani, la chitarra elettrica di Roberto Sassi.

Le cose non parlano costituisce la quarta uscita del gruppo dai tempi di “Frammenti di durata” del 1997, a cui hanno fatto seguito “Ruote che girano a vuoto” del 1999 e “Uno scoiattolo in mezzo ad un’autostrada” del 2001. Ci raccontano nelle note di copertina: “dopo il CD precedente c’eravamo riproposti di focalizzare meglio le nostre idee, evitare certe lungaggini, essere più diretti e comunicativi.” Al contrario “Le cose non parlano” non sembra rilassarsi su posizioni “troppo comunicative” e nella sua complessità non può essere certo considerato un disco di facile assimilazione, anche se il pregio della ricerca di una comunicazione concretamente epigrammatica, non si dimostra assolutamente incline alla dimensione enfatica ed esuberante. Il pericolo di ricadere in uno sterile virtuosismo alla Doctor Nerve viene abilmente tenuto lontano attraverso un’intelligente visione compositiva, che amalgama il gruppo su idee mai scontate. La potenza del suono è notevole, se pensiamo al tipo di organico, capace di concedere davvero poco alle alchimie elettroniche e digitali, a favore di un amalgama di stampo jazzistico che obiettivamente trova rari confronti su base nazionale. Se le cose non parlano, Anatrofobia avrà sicuramente tante cose da dire in un panorama italiano che sta dando segno di risveglio dopo anni di coma etilico.

2002 © altremusiche.it

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