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Dopo l’ascolto di queste fondamentali interpretazioni di Andrea Lucchesini delle musiche pianistiche di Berio potrebbe sopraggiungere l’impulso malsano di liberarsi di tutto quanto d’altro prodotto sul tema. I motivi sono diversi. Innanzitutto un pianismo così puntuale in un repertorio così ricco e frastagliato è assolutamente da ammirare e ci riferiamo, in particolare, all’attenzione certosina con cui certe pagine, irte di dialettiche interne, vengono affrontate.
Basti ascoltare, con una sufficiente dose di attenzione, la memorabile Sonata per pianoforte solo, opera del 2001 con cui Berio sembra voler porre la definitiva cesura alla “forma” della sonata – almeno per come la si era incominciata ad intendere a partire dai Sechs Kleine Klavierstücke op.19 di Arnold Schönberg. Carattere aforistico dei sei brani a parte, un certo modo di intendere il pianoforte da parte di Berio lo si può forse mettere in correlazione con quell’atonalità che stava per sfuggire definitivamente al sistema tonale, per abbracciare libertà espressionistica prima, dodecafonica dopo. E il confronto immediato ce l’abbiamo sul piatto in una scaletta che ovviamente non poteva escludere i tempi delle grandi sfide dell’avanguardia (Rounds e Sequenza IV).
Ma è con il grande affresco della sonata che si dipana una delle migliori visioni di Berio, proprio a partire da quella enigmatica lunga nota tenuta, che, lentamente ribattuta, genera un pulviscolo di suoni costruiti attorno alla medesima constante salmodica. L’intero primo movimento – sebbene non esistano questo tipo di articolazioni – mostra una totale indifferenza nei confronti dell’abbandono di questo centro tonale, in una specie (e qui ci rendiamo conto della bestemmia) di “suggestione” para-minimalista che trova nel bordone armonico il centro del proprio viaggio meditativo. Lungi dall’affermare che il pensiero di Berio possa essersi anche solo lentamente avvicinato a ciò che più veementemente ha culturalmente combattuto, ma lungi anche del fatto che questa ultima sonata possa aver aperto squarci mistici nell’anima di un uomo mai proteso in tale direzione, notiamo una sorprendente sospensione che mantiene l’ascoltatore in una sorta di galleggiamento armonico libero da ripensamenti seriali e spigoli modernisti. Possiamo forse dire che con questa sonata Berio si riappropria di un mondo di suoni, che pur essendo sempre stato presente nella sua visione artistica, qui sa muoversi con una disinvoltura tutta dionisiaca su un piano ricco di emozioni e piacere panico.
E probabilmente quel galleggiamento ritorna nelle parole dello stesso Berio che, a proposito di questa sua ultima sonata, dice:
“Tutte le sonate, di ogni tempo e luogo, propongono e sviluppano, sempre e comunque, un dialogo fra diversi caratteri espressivi, fra diverse identità strutturali e tecniche, fra continuità e discontinuità, fra semplice e complesso, fra presenza e assenza. In questa mia Sonata quel dialogo è certamente presente ma la sua distribuzione nel tempo, cioè la sua sintassi, è indifferente alla natura dei suoi stessi caratteri espressivi.”
2007 © altremusiche.it
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