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In punta di piedi lungo i fraseggi più tortuosi o nella più impetuosa improvvisazione l’ormai navigata coppia Courvoisier/Feldman viaggia lungo rotte eterodosse che li tengono al sicuro anche in mari non sempre facili da percorrere. L’incontro tra la rigida disciplina della compagine classico-contemporanea e l’educatissimo approccio improvvisativo di stampo europeo rendono la loro musica un raffinato melange di suoni che riportano alla memoria – per quanto solamente evocati nelle loro intime essenze – autori come Cage e Messiaen. A quest’ultimo in particolare la pianista svizzera rende un vero e proprio omaggio in un intricato Messiaenesque che è uno dei momenti più intensi del lavoro. Piace questo perdersi con rigore tra i suoni improvvisando, cosa che continua a essere sempre la miglior pratica jazzistica, molto meno l’inseguirsi nelle vorticose linee scalari che sanno troppo di vecchio virtuosismo ad uso e consumo di pubblici facilmente impressionabili. La forma perfetta in quartetti come questo (gli altri due sono Thomas Morgan a contrabbasso e Gerry Hemingway alla batteria) è quella che trova rigido equilibrio tra scrittura e improvvisazione. Si protende per le scritture collettive e per i brani in cui vive di maggiori luci il pianoforte della Courvoisier, che sa esprimere lirismo e irruenza al pari livello di intensità e, cosa rara per una/un pianista, tiene sempre il proprio suono lontano da malinconie mistiche o vezzi salottieri – cosa che invece al marito riesce meno…
2011 © altremusiche.it
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