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Quasi ineffabile la musica di Paul Giger che tra mantra riverberati, esotismi e orientalismi fini e se stessi, fatica a comunicare una propria dimensione estetica. Al di là dell’ormai consueto, diafano “respiro spirituale” impresso qui dagli archi di Giger (viola e violino d’amore), non ci si muove di molto. Locations prestigiose utilizzate sia in fase compositiva che in fase di registrazione (eremi monastici, abbazie, cappelle e cattedrali) non bastano a dare un forte senso a quella voluta arcaicità del “Modern Age”, che si vorrebbe così con forza mettere in continuità con il passato “Middle Age”, bypassando tutto il Novecento, e non solo quello.
Va bene appropriarsi di stilemi cari alle tradizioni orientali, ma questa assunzione può essere riscritta secondo normative così passivamente recettive. Meglio sarebbe un atteggiamento più manipolatorio, o, se si vuole, più creativo, capace di dare un’impressione di originalità ai percorsi di ibridazione: in questo caso si salvano alcuni slanci improvvisativi, che comunque denotano una buona predisposizione strumentale del nostro.
Molte “adozioni a distanza” soffrono oggi di questo difetto nel manico, in barba alla cultura globalizzata e alla perdita di senso delle tradizioni. Tanto per fare un esempio i monaci turchi di Mevlana hanno una centenaria tradizione flautistica riverberata dalle volte del loro monastero, che non ha nulla da invidiare alle recenti scoperte spiritualistiche occidentali. E’ un dato oggettivo che pratiche analoghe invece siano state forzatamente travasate in una categoria merceologica che viene messa in distribuzione sotto l’etichetta new age. Glissandi e scale modali orientali ci portano “naturalità”? Allora sporchiamola con la tecnologia. Solo in questo modo potremo riconoscere un intervento, altrimenti è solo merce che gira…
2003 © altremusiche.it
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