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“Stifter Dinge” è una delle ultime sorprendenti produzioni di Heiner Goebbels, pensata per la dimensione performativa più che discografica, dato che si tratta – secondo le parole del compositore e registra tedesco – di “una composizione per cinque pianoforti senza pianisti, una rappresentazione teatrale senza attori, una performance senza performer, in pratica un no-man show”. E l’idea di liberarsi definitivamente dell’intralcio della figura umana in tutte le sue possibili declinazioni (attore, interprete o performer) oltre che a suonare in maniera assolutamente suggestiva in mezzo una realtà in cui l’uomo appare sempre più ingombrante, può anche suggerire un approccio simpaticamente post-futurista. Il mondo a cui Goebbels guarda per dar forma alla sua struttura è soprattutto meccanico più che digitale e i rumori che producono i cinque pianoforti ribaltati, spogliati e appesi sopra una pozza d’acqua sono assolutamente reali e realistici: corde graffiate, casse armoniche percosse, cordiere fatte rimbombare. L’intero armamentario del piano nello sfruttamento timbrico, che ne coinvolge ogni anfratto, ripesca dalle differenti tradizioni sperimentali ogni minima suggestione per far da base ad un affresco sonoro molto aperto e stratificato. La novità rispetto ad alcune esperienze passate è che qui viene tutto meccanizzato: ogni suono e ogni rumore.
A dare forma a questo complesso oggetto di liuteria la mente manipolatoria di Goebbels che ha un innato dono della mescolanza di materiali e della creazione di zibaldoni da cui si fatica inizialmente a cogliere il bando. Cos’hanno in comune Bach, Claude Lévi-Strauss, William Burroughs, Malcolm X con i nativi della Nuova Guinea o la canzone popolare greca? Forse tutto, forse niente. Adalbert Stifter è stato uno scrittore romantico austriaco che, a differenza di molti suoi coevi, focosi e rivoluzionari, si concentrò sull’osservazione delle piccole cose per cercare un senso all’esistenza. A lui si riferisce Goebbels per disegnare il proprio paesaggio sonoro a tratti selvaggio, in certa misura caotico, in particolari segmenti perfino glaciale. Un percorso che non ha nulla di diverso rispetto al viaggio di un antropologo del XX secolo, incredulo di fronte alle sorprese che volta per volta si parano dinnazi.
2012 © altremusiche.it
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