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Dietro il criptico nome di Innocent X (chissà? potrebbe esserci anche un riferimento a papa Innocenzo decimo…) si cela un trio dall’organico inconsueto (due chitarre e una batteria) che trova i propri addentellati in una certa impetuosità di stampo King Crimson (forse più quelli di “Red”, che non i più recenti con Adrian Belew), sebbene la maggiore predisposizione alla tessitura ripetitiva e ipnotica ne facciano un gruppo sicuramente meno ricco di sorprese di quello di Robert Fripp. La lezione di quest’ultimo sembra comunque chiara alle chitarre di Pierre Fruchard e Cedric Leboeuf, sempre in grado di completarsi a vicenda, piuttosto che prevaricarsi. Da notare come l’assenza di qualunque altro strumento a corde, così come quella di una voce, non faccia mancare nulla nel corso di tutti i cinquanta minuti del cd.
Asphalte apre con una semplice, quanto tagliente, figurazione alla chitarra che martella un ostinato, ben osservato da una batteria secca e priva di orpelli, ben ammaestrata da Etienne Bonhomme; delle percussioni in secondo piano evocano, tanto per rimanere coerenti al raffronto con i King Crimson, quei magici interventi alla Jamie Muir. Brani invece come Haut/Bas languono in quel limbo semi-improvvisativo che asseconda sviluppi molto lenti, senza mai perdersi nel superfluo. Mentre altrove la cura dei suoni riesce a dosare nella maniera opportuna l’impasto naturale e l’apporto elettronico: Premier Baiser, giocato su un 2/4 e assolo di chitarra con archetto, ma anche Oui Madame, con un ipnotico riff processato, quasi un didjeridoo, o la sussurrata In vitro, costruita sul un pedale in vibrato. Se da una parte assistiamo alla proliferazione di tanto rock di maniera, non è raro scoprire gruppi capaci di un linguaggio, anche se non totalmente innovativo, certamente originale. I francesi Innocent X appartengono a quelle rare frange di musicisti rock la cui musica si lascia ascoltare ancora con vivo interesse.
Qualche ricordo nebbioso fa capolino nella nostra memoria all’ascolto di Aux marches du palais, che apre invece “Fugues”. La rimembranza è scarsamente aiutata dal fatto che la versione di questo canto lirico tradizionale è totalmente scarnificata dai suoi elementi musicali originari, tipicamente ternari per soddisfare i consueti movimenti di danza di un tempo. Poi sovviene il precedente, offerto dalla cantante normanna Veronique Chalot, ma sono completamente altri suoni. Gli Innocent X sono infatti un power trio parigino di cui si aveva già avuto notizia in merito alla loro precedente uscita, un po’ anomala a dire il vero, per l’etichetta francese Label Bleu. Allora il suono dei tre era saldamente ancorato all’alveo krimsoniano (di quelli di mezzo), molto avant, molto rock e poco jazz.
Con questo “Fugues” il quadro si amplia in un senso quasi paesaggistico, non estraneo a quei momenti lirici che nell’esordio “Haut/Bas” erano davvero ridotti all’essenziale. I Nostri, in tour assieme a The Ex e The Silver Mount Zion, vengono associati a Sonic Youth e Godspeed You Black Emperor, ed è evidente come qualche germe punk si sia insinuato nell’estetica del gruppo. Ma è la capacità di reimpastato di gruppi come questi che hanno il loro più grande merito nella capacità di evitare lo stereotipo che è sempre in agguato: individualismo, esasperazione del virtuosismo, eccedenza di assolo, abuso di manipolazione elettronica. Qui siamo agli antipodi ed ecco allora un altro esempio di rock che ci sembra ancora possibile ascoltare, senza che ci possa venire il dubbio di sentirci ridicoli.
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