Rita Marcotulli: “Koiné”

Michele Coralli
Rita Marcotulli: “Koiné” (Storie di Note, SDN 023, 2002)

La grande varietà di ispirazioni caratterizza in modo evidente questo ultimo lavoro della pianista romana Rita Marcotulli, ormai da tempo consacrata sugli altari del jazz internazionale, per merito della sua personalità eclettica, capace di ben figurare al fianco di mostri sacri del calibro di Chet Baker, Tony Oxley e Joe Henderson, ma anche di recenti stelle come Pat Metheny, Enrico Rava e Nils Petter Molvær o popstar come Pino Daniele, De Gregori e Noa.

Collaborazioni a parte, è bene notare come ormai, dopo anni di onorata carriera tra le fitte schiere di jazzisti di varie parti del mondo, la Marcotulli sembra aver intrapreso un percorso segnato dalla piena consapevolezza dei propri mezzi. “Koiné” è un disco policentrico, ricco di rimandi e di contributi, stratificato, anche se un po’ di maniera nella sua inclinazione polimorfica. Tra jazz, fusion e canzone d’autore, senza timori per il condimento elettronico, ma con qualche scivolamento nelle languide atmosfere lounge, sottolineate dall’eccessivamente confidenziale voce di Anja Garbarek, Rita Marcotulli sa indurre nei suoi collaboratori il contributo necessario alla migliore stratificazione. Tanto per non limitarci alla consueta lista dei nomi varrà la pena senz’altro di citare gli amici scandinavi come Lena Willemark (intensa cantante svedese), Palle Danielson, Jon Christensen e Anders Jormin, così come i connazionali Javier Girotto, Gianmaria Testa, nonché quell’elemento di disturbo che porta il nome di Metaxu, ovvero Maurizio Martuscello sotto mentite spoglie.

Le idee compositive non mancano certo di originalità e piace sempre la dimensione ritmica della Marcotulli, capace sempre di trovare soluzioni inventive, anche se le forme più vicine alla canzone suonano come qualcosa di già sentito (e quindi superfluo), rispetto al disegno generale dell’album. Trovare nuove commistioni, superando la dimensione estetizzante della fusion e del ripetitivo sound mainstrem, ma, al tempo stesso, non cedendo alle lusinghe di certo pop d’autore, sembra essere la dimensione congeniale a musicisti come Rita Marcotulli, abilmente incline alla sperimentazione e alla ricerca di nuove strade espressive per il jazz italiano, che sembra finalmente uscire da quell’alone di provincialismo che, nel bene e nel male, ne ha frequentemente caratterizzato i contorni.

2002 © altremusiche.it

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