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Il Canada francofono ha sempre guardato all’Europa colta, piuttosto che al resto del continente ed è forse anche questo che spiega come non sia mai esistita una radicata tradizione di musica progressiva negli Stati Uniti e, al contrario, solamente al di là della cascate del Niagara siano fiorite realtà non solo artistiche, ma anche produttive e organizzative legate ad un certo modo di intendere il rock contemporaneo. Basterebbe osservare, anche da lontano, quello che succede in una città come Montreal per capire quanto feconda sia quella scena, anche nei suoi epigoni più elettronici (vedi Klaxon Gueule).
Con i suoi 25 anni di carriera alle spalle, la cui ricorrenza viene festeggiata con questo doppio CD, i Miriodor sono una delle band più longeve di tutto il Quebec più off-stream. Labirintici come i migliori Gentle Giant, grotteschi come gli Henry Cow più strutturati, ironici (e un po’ fusion) come certi Gong post-Zero, il gruppo di Pascal Globensky discende direttamente da una di quelle realtà quasi preistoriche che hanno assunto un ruolo di mito nel trasandato e poco edificante mondo dello show business: quella rete pre-web, costituita da compagini di ispirazione alternativa, che porta il nome di Rock in Opposition, di cui Miriodor ha rappresentato una vera e propria sezione canadese. L’ensemble non ha mai inciso molto, forse anche a causa una grande densità sonora della propria musica. E’ forse anche per questo che l’ultima uscita Cuneiform rappresenta un piccolo evento all’interno del giro dei cultori delle musiche avant. Ebbene, nonostante i rimpasti di formazione, che coinvolgono però solo marginalmente una line up abbastanza stabile con Bernard Falaise alle chitarre, Nicolas Masino al basso, Rémi Leclerc alla batteria, ovviante il veterano Globesky alle tastiere e una manciata di ospiti tra cui la vecchia conoscenza Lars Hollmer alla fisarmonica, non sono cambiate molte cose da quell’esordio del 1985 che gettò subito un ponte con le asimmetrie rock di gruppi come Etron Fou Leloublan e Art Zoyd (nonché lo Zappa più metricamente sfuggente).
Anche in “Parade” non sembra essere passato molto tempo da allora. Due i dischi, uno registrato in studio con sedici brani inediti e un secondo dal vivo – ma le differenza in questi casi sono minime – con materiali tratti dai precedenti lavori “Elastik Juggling” e “Mekano” in un’istantanea catturata al Nearfest nel 2002. In entrambi casi partiture (perché è proprio il caso di definirle tali) assolutamente vertiginose e conturbanti, che vantano virtuosismi raramente autoreferenziali. Ma a volte manca un senso prospettico che dia profondità, qualcosa che ci riporti ad una prospettiva leonardesca basata sulle foschie e chiaroscuri. Come giustamente si fa notare invece, il panorama pittorico di riferimento è molto più efficacemente rappresentato da pittori come Escher, complessi, disorientanti, cerebrali, quasi matematici. Le emozioni di pancia ci sono, ma occorre cercarle.
2005 © altremusiche.it
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