Ralph Towner, Gary Peacock: “A Closer View”

Michele Coralli
Ralph Towner, Gary Peacock: “A Closer View” (ECM, 1602, 1998)

Un disco di grande tecnica strumentale, di compostezza e di respiro ampio e lieve. Due grandi musicisti a confronto dopo un’attività ormai più che trentennale a contatto con alcune delle menti musicali più importanti del jazz e della musica contaminata in genere, dai primi anni Sessanta ad oggi. Ralph Towner ha suonato, tra gli altri, con Jarrett, Barbieri, Davis, Holland, Weather Report, ha inoltre fatto parte dell’esperienza degli Oregon, mentre Gary Peacock ha partecipato al trio di Paul Bley, condividendo le vicende artistiche di Evans, Lacy, Shepp, Ayler e degli stessi Davis e Jarrett.

Dopo un precedente progetto assieme, uscito per la stessa casa discografica, i due si ritrovano per dare vita ad un nuovo capitolo di musica totalmente acustica (chitarra classica e 12 corde il primo, contrabbasso il secondo) scevra da riempitivi e farciture elettroniche, che spesso fanno perdere quel senso di chiaroscuro così importante nella musica. Questo disco, al contrario, ne è pieno: le tinte si fanno volta per volta brillanti o sfumate; talvolta osserviamo gli oggetti sonori illuminati, talvolta essi si indovinano nella penombra. E come al solito, quando ci confrontiamo con un disco ECM, non possiamo fare a meno di notare l’alto livello delle registrazioni e della cura del suono, non solo da parte dei musicisti, ma anche dei tecnici del Rainbow Studio di Oslo.

Il consueto riverbero forse potrà aver stufato i cultori dei suoni ruvidi e aggressivi così come potrà esaltare chi apprezza la pulizia e, conseguentemente, la resa del cd con un buono stereo. Ma questa, si sa, rimane ormai la caratteristica tipica della casa discografica di Monaco di Baviera, tanto da determinare la nascita della definizione – ormai cara ai recensori e a parte del pubblico – che individua un vero e proprio “suono ECM”, trasversale a tutta la sua più recente produzione discografica. Di questo suono si possono dire corresponsabili anche musicisti come Towner e Peacock, entrambi cultori della pulizia e della compostezza delle sonorità prodotte dai loro strumenti. Il primo è addirittura cristallino nella sua purezza timbrica. Mai una sbavatura, mai una macchia.

Il chitarrista e compositore americano riesce a mescolare, ricontestualizzandole completamente, diverse esperienze musicali (dalla classica al jazz, dal flamenco alla bossa nova) senza però toccare versanti come lo swing o il blues e prediligendo quei tempi ampi e dilatati, mai marcati da una ritmicità quadrata. Towner usa in maniera discreta e mai esibita, ma allo stesso tempo molto espressiva, gli armonici, che diventano cifra delle sue scelte stilistiche. Anche Peacock cura molto il suono e produce con il suo strumento un contrappunto alla linea melodica della chitarra. La parte del contrabbasso si muove, intrecciandosi ai movimenti melodici del partner, in momenti che si aprono a delle improvvisazioni molto controllate e guidate dalla una grande intesa che esiste tra i due, tanto da non far sembrare più quegli episodi delle pure improvvisazioni. La sintonia che si crea tra Peacock e Towner – ma, per quanto riguarda quest’ultimo, la stessa cosa era già avvenuta con Gary Burton – si basa sulla condivisione dello stesso ritmo del respiro.

da: “il Giornale della Musica”, n.136, 1998 . © il Giornale della Musica-Edt / Michele Coralli

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