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Pur non sentendosi parte di una qualche scena specifica, Anatrofobia, gruppo avantgarde di origine piemontese, sente di essere sintesi di esperienze di diversissima estrazione. Il loro jazz-rock incandescente e iperbolico è denso di rimandi e citazioni. Proviamo con Alessandro e Luca Cartolari (rispettivamente sax alto e basso elettrico) a risalire al bandolo dell’intricata matassa.
Ad un primo ascolto del vostro Le cose non parlano ciò che mi è venuto in mente sono stati certi umori alla Univers Zero, Doctor Nerve o Curlew, gruppi legati ad un suono magmatico, nevrotico e stratificato. Quanto hanno inciso questi gruppi nella vostra formazione musicale? O quali altri?
Alessandro Cartolari: «I gruppi da te citati non li conosco tranne i Doctor Nerve, ma ora sono molto curioso di conoscerli. Nella nostra formazione hanno inciso tanti gruppi, tante musiche, tante esperienze e soprattutto tante prove. Ho sempre cercato di ascoltare più musica possibile, che potesse riempirmi il cuore e il cervello, senza farmi problemi di genere».
Devo riconoscere che la vostra linea in bilico tra certo avant-jazz e rock progressivo di marca Rock in Opposition non ha molti similitudini in Italia. Con quali gruppi vi sentite più in sintonia al momento?
AC: «Mi sento vicino a tutti coloro che con rigore e personalità si impegnano a suonare la propria musica».
Una cosa che mi è piaciuta molto nel disco è l’utilizzo discreto (mai sovrabbondante) dell’elettronica a favore di strumenti suonati. Quanto incide la post-produzione in un disco di Anatrofobia?
AC: «Il cd lo abbiamo registrato e miscelato nel nostro studio “Mediaducks” di Perosa Canavese (TO). Abbiamo sempre cercato un suono che fosse il giusto equilibrio tra un nostro concerto e le opportunità che si hanno registrando in digitale. Non ci siamo ancora riusciti in pieno, ma l’ultimo cd è un passo in avanti rispetto al passato».
Non mi è ancora capitato di farlo, ma dal vivo non credo che cambino molto le cose…
Luca Cartolari: «In effetti nei nostri concerti cerchiamo sempre di trovare un equilibrio tra acustico ed elettronico. Molti ascoltatori ed amici trovano però che le nostre esibizioni live siano più comunicative dei nostri CD».
Parlatemi della formazione abbastanza insolita e della storia ormai decennale di Anatrofobia.
LC: «Anatrofobia è un progetto musicale nato nel 1990, con l’intenzione di creare una musica di estrazione popolare personale, fatta di scrittura e improvvisazione, acustica ed elettronica, tra spontaneità e premeditazione. Il gruppo diventa un trio stabile a partire dal 1994 con Andrea Biondello alla batteria, Alessandro Cartolari al sax alto, voce ed elettronica, Luca Cartolari al basso elettrico ed elettronica. Il trio, da sempre pronto a collaborare con musicisti dalle provenienze più disparate, ha pubblicato nell’ottobre 2002 il suo quarto CD Le cose non parlano (Wallace Records). Alle registrazioni hanno partecipato, tra gli altri, due nomi importanti del panorama musicale italiano: Roberto Sassi (chitarrista di Cardosanto ed MGZ) e Alessio Pisani (uno dei più quotati fagottisti classici italiani). Con quest’ultimo, in particolare, Anatrofobia ha incominciato a stringere un rapporto non più occasionale, esibendosi in diversi concerti e incominciando a costruire un nuovo repertorio. In esso sono inclusi anche dei brani composti dallo stesso Alessio Pisani, appositamente pensati per Anatrofobia».
Nelle note di copertina si parla di una maggiore comunicabilità di questo disco. Come suonava Anatrofobia precedentemente?
LC: «Le cose non parlano direi che è una sorta di continuazione di Uno scoiattolo in mezzo ad un’autostrada. Come il precedente è un disco multiforme e orizzontale, ricco di ospiti e di stili che si sovrappongono, ma con la maggiore consapevolezza delle radici popolari di Anatrofobia. In questo sta la sua maggiore “comunicabilità”. I nostri primi due CD sono decisamente diversi. Frammenti di durata del 1997 è stato recensito come un disco di free jazz gotico, in concreto è frutto del nostro trio dopo anni di prove e concerti. Ruote che girano a vuoto (1999) ha invece un suono più ambient e psichedelico. Sono entrambi dischi umorali e compatti: in questo sta il loro eventuale fascino, ma anche il loro limite».
Sarà una domanda prevedibile, ma mi incuriosisce il nome che vi siete dati.
LC: «Il nome è stato preso in prestito da una vignetta di Gary Larson. Una vignetta in cui si racconta la tremenda paura di essere spiati in ogni momento della propria vita da un’anatra!».
Di solito gruppi come il vostro nascono all’interno di una scena musicale che prende le forme a partire da una realtà culturale ben definita (scusate la semplificazione…). Come vi siete trovati voi nel Canavese?
LC: «Siamo molto legati alla nostra regione. Siamo all’imboccatura della Val D’Aosta e viviamo in una zona geograficamente bellissima. Per quanto riguarda la scena musicale, mi limito a ricordare che nei nostri primi tre CD hanno suonato solo musicisti canavesani. Ognuno di loro ha esperienze importanti alle spalle: jazz, musica classica e contemporanea, rock. Abbiamo sempre desiderato confrontarci con altri musicisti, altre tradizioni ed esperienze ed in Canavese ci sono molti musicisti con cui si possono avere scambi e confronti (ma, a dire il vero, anche gente supponente). E’ sufficiente questo per parlare di scena?».
Adesso che avete raggiunto una certa fama in ambito “underground”, state pensando a qualche tipo di collaborazione “prestigiosa”, magari con qualche figura di rilievo internazionale?
LC: «Come dicevo prima stiamo continuando a collaborare con Alessio Pisani, fagottista classico dal curriculum “prestigioso”. Questo incontro sarà sicuramente importante per la nostra crescita musicale futura. E’ sicuramente un grande musicista. Spero che possa raggiungere, anche in ambito jazz-rock la notorietà che si merita».
gennaio 2003 © altremusiche.it / Michele Coralli
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