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Raccogliendo parte delle loro precendenti esperienze, Arlo Bigazzi, Roger Eno, Blaine L. Reininger e Pier Luigi Andreoni hanno messo a punto un progetto, Nobody Knows How and Why (Materiali Sonori), che si situa in un’area di confine tra rock e ambient, tra i discreti paesaggi elettronici e le canzoni nobilitate dall’imperiosa voce dell’ex-cantante dei Tuxedomoon. Ne parliamo con Andreoni, co-produttore e co-arrangiatore del lavoro.
Ci sono tre cose che ho trovato particolarmente emozionanti in questo Nobody Knows How and Why: prima di tutto la voce Blaine Reiniger che dona al lavoro una notevole carica rock soprattutto in brani come l’iniziale “Mystic Barge”. Sempre in quello stesso pezzo mi ha emozionato il riff alle tastiere con quel timbro che evoca molto da vicino un mellotron. Scommetto che si tratta di un suono virtuale…
«Vedi, sono completamente d’accordo con te in questo giudizio, tuttavia posso dire che tutti abbiamo contribuito ad ottenere questo tipo di atmosfera; non dobbiamo dimenticare che sia Arlo che io, veniamo da esperienze rock pur avendo poi cercato nuove soluzioni, senza rinnegare tuttavia il nostro passato che, come in questo caso, riemerge quasi prepotentemente. In effetti Mystic Barge nasce come brano rock ed è stato più volte riarrangiato e rielaborato, con aggiunte di strumenti classici ed acustici, Blaine ci si è trovato perfettamente a suo agio. Il riff alle tastiere è, come spesso io prediligo fare, un insieme tra strumenti o campionamenti acustici e suoni puramente virtuali costruiti al computer.”
La terza cosa che mi è piaciuta è quel brano cantato in francese da Lisa Cantone. Una canzone molto delicata. Nel complesso tutto il lavoro ruota attorno al mondo della canzone di matrice rock. Da dove nasce questa scelta?
«Indubbiamente Lisa ha contribuito in maniera essenziale, con la sua interpretazione, alla realizzazione di questo brano; abbiamo pensato che la sua voce avrebbe dato una svolta importante. Anche Lisa nasce come cantante rock, pur tuttavia non disdegnando la
sperimentazione, il mettersi in gioco per ricercare nuove soluzioni e nuove sonorità. Come già detto, la ‘matrice rock’ non è il risultato di una scelta consapevole, ragionata o decisa a tavolino; è qualsosa che forse inevitabilmente doveva venir fuori, quando ci si trova con le persone giuste al momento giusto viene il momento di dire ‘tutta la verità’…”
Tu e Roger Eno, avevate collaborato insieme già ai tempi del progetto Marco Polo. Cos’è rimasto di quell’esperienza in Keen-o?
«La mia collaborazione con Roger è stata una delle cose più grandi ed importanti che mi siano capitate, sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista musicale. Siamo prima diventati amici, io sono stato diverse volte ospite suo in Inghilterra ed abbiamo avuto modo di conoscerci e di stimarci reciprocamente. Penso che il rapporto umano sia indispensabile e già una forma d’arte di per sè. Di quell’esperienza, in Keen-o, è rimasto moltissimo, basti pensare che le strutture portanti della maggior parte del brani di questo derivano da numerose session che ho avuto con lui nel corso di questi ultimi tempi. A questi ‘skeletons’ (come ama chiamarli Roger), o idee musicali di base, si è aggiunto il contributo fondamentale di Arlo, che ci ha lavorato tantissimo trasformandole in qualcosa di ‘commestibile’. Alla fine Blaine ha dato il tocco finale, come si compete ad un fuoriclasse del suo calibro.”
Parlaci del diverse fasi del lavoro in studio. Tu e Arlo Bigazzi l’avete prodotto. Qual’è stato l’apporto degli altri musicisti?
«Arlo ed io abbiamo arrangiato e prodotto il disco; l’arrangiamento rimane sempre una delle
parti fondamentali della produzione, dall’arrangiamento il brano prende forma, fluidità, scorrevolezza ed è certamente la parte più difficile per il completamento di un’opera. L’apporto degli altri musicisti è stato fondamentale, a cominciare da Lorenzo Tommasini che, come ingegnere del suono ma non solo, ha dato un apporto determinante. Con questo non voglio dimenticare mio fratello Alberto, che è una presenza quasi costante in tutte le mie produzioni, come Angelo Dall’Ospedale alla tromba, i magnifici Orio Odori e Damiano Puliti di Harmonia e tutti gli altri che colpevolmente tralascio. La grande cosa è che noi ci siamo limitati a dare delle semplici indicazioni di base, ed il tutto è uscito fuori in maniera incredibilmente naturale, senza forzature, attriti o censure di qualsiasi genere; è raro, ma quando accade è sempre una grande soddisfazione. E’ magnifico, ascoltando per esempio un solo di chitarra o di violino, poter dire: ‘anch’io l’avrei suonato così…’ ”
In Nobody Knows determinante è l’apporto della tecnologia nella costruzione dei suoni. Quale pensi che sia il segreto per “umanizzare” prodotti che sono sempre più marcatamente tecnologici. Forse attraverso voci e strumenti acustici?
«Indubbiamente l’apporto della tecnologia ha contribuito, in questi ultimi anni, a costruire
prodotti sempre più sofisticati e vicini alla perfezione, soprattutto dal punto di vista tecnico. Con lo sviluppo della registrazione digitale per esempio, chiunque si avvicini al mondo musicale ha la possibilità di creare cose che fino a poco tempo fa erano appannaggio di pochi eletti. Resta comunque fondamentale il lato artistico, e come sempre ribadisco, il lato umano. Oggi una macchina è in grado di suonare senza alcun intervento da parte dell’uomo, se non a priori da chi ha sviluppato il programma che le permette di farlo, ma è, resta e rimarrà sempre una macchina. Il segreto, se di segreto si tratta, è molto semplice: utilizzare la tecnologia e metterla al nostro servizio e non viceversa. Utilizziamo e sfruttiamo le possibilità che la tecnologia ci mette a disposizione, è giusto e doveroso, ma facciamolo in maniera “intelligente”, usiamo il computer ovviamente col cervello ma soprattutto con il “cuore”; ci accorgeremo allora che quello che ne esce è una parte di noi stessi, le nostre sensazioni, le nostre emozioni, la nostra cultura. Il computer è uno strumento, come il violoncello, la tromba, il clarinetto… dipende solo da chi e da come lo ‘suona’…”
In conclusione dimmi come si muoverà Keen-o prossimamente. Avete progettato qualche data dal vivo?
«Innanzi tutto stiamo già pensando e lavorando al secondo disco (notizia in anteprima), spero e credo che riproverò le stesse emozioni del primo lavoro. Abbiamo anche in cantiere un’edizione speciale di Nobody Knows How and Why sulla quale non mi dilungo per non togliervi la sorpresa. Per quanto rigurda i concerti dal vivo è qualcosa che ci entusiasma moltissimo, le difficoltà comunque sono tante, quella logistica per esempio: Blaine vive in un’isoletta greca, Roger in uno stupendo villaggio nel Suffolk in Inghilterra, io a Piacenza ed Arlo a San Giovanni Valdarno. Capirai quindi che i concerti dal vivo sono un problema, soprattutto in Italia dove gli spazi sono pochissimi ed è difficilissimo, per il nostro genere musicale ovviamente, organizzare una tournée (indispensabile per una questione di costi). Materiali Sonori si sta comunque attivando anche in questo senso e non è detta l’ultima parola…”
novembre 2002 © altremusiche.it / Michele Coralli
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