Claudio Jacomucci: l’emancipazione della fisarmonica [intervista]

Michele Coralli

Strumento che conosce il brivido di una nuova frontiera, la fisarmonica sta vivendo una nobilitazione impensabile solo fino a qualche anno fa. Il merito va anche a diversi raffinati interpreti capaci di fare conoscere le qualità nascoste dei mantici. I virtuosismi sulla tastiera allora cedono il passo alle nuances tipiche degli strumenti a fiato e nuovi panorami si dipanano all’orizzonte.

La fisarmonica è uno strumento che ha avuto una vita a se stante nella storia della musica moderna. Ancora oggi la sua immagine che sembra prevalere è quella che la vede calata entro contesti pop, popular o popolareschi. Il fatto che molti autori contemporanei si siano accostati a questo strumento relativamente tardi (penso agli ultimi 15 anni) credi sia dovuto più a una sorta di diffidenza oppure ad una scarsa conoscenza delle sue potenzialità?

«Innanzitutto occorre precisare che esistono diversi tipi di fisarmonica, con differenze tecniche e timbriche notevoli: la fisarmonica che tutti conoscono, chiamata anche “accordion” o “accordeon”, possiede la popolare tastiera a bassi e accordi precostituiti (maggiori, minori, di settima di dominante, diminuiti). L’accordatura di questo strumento è spesso ricca di battimenti (come il timbro “musette” francese), cioè con quella specie di “stonatura” che rende il suono di questo strumento melanconico e struggente.
La fisarmonica è divenuta molto popolare agli inizi del XX secolo, l’abbandono della tonalità non ha certo aiutato uno strumento in grado di accompagnarsi con semplici triadi. Tuttavia alcuni compositori hanno usato il colore della fisarmonica in composizioni orchestrali o in alcune opere (come nel Wozzeck di Berg). Solo negli anni ’50 è stato costruito uno strumento polifonico con circa 7 ottave di estensione (quasi come quella del pianoforte), con una serie di combinazioni timbriche e con una accordatura “secca” (senza richiami a qualche “sound” folk).

I suoi pionieri (dall’Est e Nord Europa) hanno contribuito all’emancipazione della fisarmonica in ambienti accademici e sperimentali, attraverso lo sviluppo di una specifica didattica e la commissione ad alcuni compositori a partire dagli anni ’70. Lo scarso interesse per la musica del proprio tempo da parte dei fisarmonicisti è stato (e lo è ancora oggi) l’ostacolo più evidente per la diffusione della fisarmonica nella musica contemporanea. E’ normale che per molti compositori la tecnica della fisarmonica sia un mistero, ma, per certo, l’iniziale diffidenza è sempre seguita da sorpresa e curiosità e dalla consapevolezza dell’indispensabile bisogno di avere un esperto strumentista al loro fianco».

Comunque tra i diversi dischi che mi è capitato ascoltare, devo dire che quelli con la fisarmonica più marcatamente contemporanea mi sono parsi molto difficili da ascoltare, quasi ci fosse la necessità di un riavvicinamento a molte timbriche non ancora del tutto assimilate dalle nostre orecchie… Cosa ne pensi?

«Timbriche non familiari dovrebbero ancor di più incuriosire e stimolare l’ascolto. Il problema è che molto spesso i compositori usano gli strumenti come se stessero usando un campionatore, corrompono dalla natura “organica” dello strumento. A volte mi capita di suggerire delle semplici idee su alcune sonorità dello strumento ai compositori per poi ritrovarle combinate in una partitura che non riesce a rendere l’idea musicale o sonora desiderata. In questo caso il problema diventa compositivo. Quando la ricerca del suono non è una necessità compositiva ma solamente un addobbo, un effetto, allora è molto più probabile che le nostre orecchie si rifutino di ascoltare».

Conosci musicisti come Frode Haltli? Credi di avere qualcosa in comune con certe visioni contemporanee assolutamente coerenti con il loro percorso, ma soprattutto fedeli alla natura acustica del loro strumento?

«Non conosco Haltli personalmente. Di sicuro entrambi abbiamo avuto un grande insegnante in comune: Mogens Ellegaard, musicista di grande sensibilità scomparso qualche anno fa. E’ stato il pioniere della fisarmonica contemporanea, in Scandinavia pochissimi compositori non gli hanno dedicato almeno un brano e il suo lavoro è diventato una vera e propria scuola, che predilige le sfaccettature del suono della fisarmonica come strumento a fiato, in netto contrasto con la scuola “sovietica” che ha invece un orientamento più tastieristico. Il mio lavoro con i compositori, mi ha portato ad interessarmi sempre più ai processi compositivi, alla creazione di un opera attraverso la materia, il suono. Penso che la natura acustica dello strumento sia il punto di partenza. Linguaggio e costruzione sono ora il cammino che intendo percorrere anche autonomamente».

Il tuo disco Road Runner contiene una manciata di composizioni di alcuni tra i più importanti compositori contemporanei come Berio, Donatoni, Sciarrino, ma anche guastatori come John Zorn che stanno agli antipodi rispetto all’idea tradizionale del comporre. Credi che certe manipolazioni combinatorie di tipo quasi aleatorio siano ancora attuali e riescano ancora a stimolare musicisti e ascoltatori?

«Non sono particolarmente interessato alle manipolazioni combinatorie, anzi direi che non lo sono affatto. Ciò che mi interessa di questo brano è tutt’altro. Molti degli “illustri” compositori del mio disco, a mio avviso, non sono riusciti a mantenere l’organicità delle idee strumentali nella stesura formale, alcune composizioni, nonostante lo sforzo interpretativo mantengono di certo una coerenza formale che però non convince sempre l’orecchio.
Zorn prendendo furbamente in prestito gran parte del materiale dal repertorio popolare della fisarmonica, distorto e decontestualizzato, si è assicurato una strettissima sequenza di numeri di giocoleria (niente è però lasciato alla pura improvvisazione) senza porsi il problema di inventarsi della musica per uno strumento che non conosce affatto. Bisogna ricordare che Road Runner è un ironico “sketch” scritto per il fisarmonicista newyorkese Guy Klucevsek negli anni ’80, suonatore di polke, improvvisatore, interprete di musica contemporanea e compositore. Come per chi va a vedere una mostra di Basquiat, il brano può essere molto più gratificante e stimolante di un seriosissimo brano “d’autore”».

In conclusione quali pensi che siano i compositori a essere riusciti ad entrare meglio nello spirito del tuo strumento e quali i brani imprescindibili, nella tua opinione, per la fisarmonica contemporanea?

«Dai paesi che hanno una scuola fisarmonicistica solida, mi vengono in mente Sofia Gubaidulina, che ha scritto diversi brani, tutti di altissimo livello (il suo De Profundis del 1978 è sicuramente uno dei brani imprescindibili), come anche Per Norgard (Anatomic Safari), Arne Nordheim (Spur, per fisarmonica e orchestra), Erkki Jokinen (Alone), Jukka Tiensuu (Mutta…), Krzysztof Olczak (Phantasmagorien).
Tra i compositori con i quali ho collaborato vorrei menzionare Boris Porena (che ha studiato lo strumento nei minimi particolari, scrivendo ininterrottamente per un paio di anni brani per fisarmonica sola, due fisarmoniche, fisarmonica e quartetto d’archi, fisarmonica e voce e addirittura un Concerto per fisarmonica e orchestra), Lucio Garau (anche lui, ha scritto diversi brani riusciti, come Xballu che ha una particolare tecnica di oscillazione dinamica ed il Concerto per fisarmonica e piccola orchestra, qui la fisarmonica è stata addirittura “preparata” microtonalmente), Gabriele Manca (Fados, Acromatopsia), Mario Pagliarani (Apparizione di Schubert fra le Onde), Dimitri Nicolau (Jacoland music n.1 e n.2), Giorgio Tedde (Ballu) e Carlo Crivelli (La Battaglia dei Centauri)».

settembre 2005 © altremusiche.it / Michele Coralli

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