Otolab New: electronic techno media

Foto: MIchele Coralli
Michele Coralli

Nuove tendenze in grado di creare legami con la musiche contemporanee più accademiche si muovo in un underground che raccoglie l’attenzione di pubblici sempre più trasversali, non unicamente interessati agli aspetti musicali, bensì sensibili anche alle costruzioni architettoniche di certi spazi virtuali, alla video art e all’espressione performativa in generale. Otolab è un collettivo che riunisce diverse competenze e sensibilità per la creazione di materiali che sfuggono sempre più non solo alla classificazione di genere, ma anche all’inscatolamento nei supporti tradizionali come CD o DVD. Due chiacchiere nel laboratorio di Milano, dopo una variegata performance al PAC dal titolo “Electric Trance” [vedi recensione] in omaggio al compositore recentemente scomparso Fausto Romitelli (PAC, 27 novembre 2004, Milano), ci aiutano ad approfondire alcune tematiche.

Prima di tutto presentiamo Otolab.

Maikko: «Otolab è un laboratorio/collettivo audiovisivo fondato nel 2001 da un gruppo di affinità costituito da DJ, VJ, videomaker, architetti, designer e musicisti che hanno deciso di intraprendere un comune percorso di ricerca sull’audiovisivo. A tutt’oggi ruotano attorno a Otolab circa 17 persone, più vari ospiti che, pur non appartenendo al collettivo, usano il nostro laboratorio, vero e proprio cuore di Otolab. Le attività che si svolgono all’interno del laboratorio sono varie, a seconda degli impegni che ci attendono. È soprattutto un luogo di riunione, di coordinamento e di confronto sui rispettivi lavori e sulle ricerche individuali per la costruzione dei progetti collettivi. Prima di tutto ci sono le performance che oggi vengono definite live media: per noi sono momenti brevi, che durano attorno ai 20/25 minuti e che vengono progettati nella maniera più sinergica possibile tra contributi audio e video. Questi due elementi vengono trattati in modo paritario, sia da un punto di vista tecnologico, sia da un punto di vista empatico, là dove la tecnologia non ci viene in aiuto. Posso farti l’esempio del Quartetto.swf, che è stato forse il primo progetto di live media uscito da questo laboratorio. Si tratta di un lavoro concepito per un ensemble di quattro laptop, ognuno dei quali genera immagini e suoni contemporaneamente. Tutti e quattro seguono una sorta di canovaccio, o meglio di partitura, che è proprio un tracciato audiovisivo».

Quale tipo di iterazione esiste tra le parti?

Foto: MIchele Coralli

Maikko: «A ognuno dei 4 laptop è stata assegnata una funzione e la reciproca iterazione viene stabilita da una sorta di direttore d’orchestra che crea un’integrazione tecnologica attraverso un software. Questo mette nelle condizioni di generare singoli file audiovisivi, che vengono triggerati, cioè mandati dal singolo performer quanto più possibile in sincrono “umano”, ovvero in relazione diretta con i gesti del direttore. Si genera allora una cosa che è stata definita “techno sinfonia” ed effettivamente non riesco a trovare un termine migliore: forse “pièce per laptop audiovisivo”. In altri casi nelle nostre performance eventi audio e video sono gestiti in modo separato dai musicisti, dai VJ e dai video maker. Esiste cioè meno iterazione tecnologica, ma più ascolto reciproco ed empatia».

Orgone: «Al di là dell’iterazione tecnologica in senso stretto, in gran parte delle nostre performance esiste sempre un’interpretazione dell’audio da parte del video e del video da parte dell’audio. C’è sempre cioè un tentativo di far corrispondere gli eventi e le atmosfere. È quindi necessario considerare suoni e immagini sempre come strettamente correlati».

Una vostra esibizione dà l’idea di un continuum audio/video che si sviluppa a partire da un’idea e che si evolve in un divenire attraverso un accumulo di risorse. Mentre una sinfonia sembrerebbe suggerire più l’idea di una struttura dialettica.

Maikko: «Sì, dipende dai progetti. Performance come Hemline hanno una struttura più aperta, mentre il quartetto è chiuso da una partitura, che ha un inizio e una fine».

Xo00: «Comunque si lavora sempre con delle partiture, a volte molto semplici, a volte più complesse. È logico che quando un’idea comporta l’uso di quattro laptop con audio e video, con una sincronia e una direzione, allora lo schema è più complesso. Ma nel caso di “Hemline” esiste una partitura video che io e Orgone seguiamo e che corrisponde a un tracciato audio fisso».

Orgone: «Parlando di dialettica e di divenire, secondo me è proprio da lì che nasce il lavoro che facciamo. Ovvero nella tensione che esiste tra il progetto, concepito a priori in laboratorio, e tutta la libertà dell’interpretazione del progetto dal vivo. In realtà quindi convivono entrambi gli elementi».

Mi riferivo all’idea di dialettica interna tra performance prive di giustapposizioni o pause, e performance che invece sono costruite su momenti di rottura, dovuti all’apparire di rumori o di improvvisi silenzi.

Orgone: «Sì, abbiamo adottato anche delle modalità di utilizzo del feedback nel mixer video, ma ci interessa lavorare sull’idea del ciclo che ritorna ininterrottamente. È venuto spontaneo lavorare in questo modo. In Hemline la parte video ha una partitura specifica e la parte audio va un po’ sul suo percorso, per cui questa ciclicità è data dalla specificità tecnica del mezzo».

Come si determina la nascita di un live media?

Foto: MIchele Coralli

Maikko: «Non c’è una regola precisa. Tutto nasce in laboratorio dove ognuno porta le cose su cui lavora individualmente. Se si crea un interesse attorno a un certo tipo di ricerca, allora si determina un gruppo di lavoro che cerca delle connessioni tra suono e immagine. Si può partire da uno spunto video e quindi si costruisce attorno il suo referente sonoro, ma può essere il contrario, come nel caso di Hemline, in cui la parte audio era già pronta. Nel caso del quartetto si è proceduto invece per successive costruzioni di file audiovisivi».

Esistono dei ruoli specifici all’interno di queste performance live?

Maikko: «Per limitarci ai presenti Xo00 si occupa di video, web design e grafica, io di musica, Orgone di video e Dies Ordre sia di audio che di video. C’è insomma chi viene dal mondo della musica contemporanea, c’è chi fa techno o vjing. La cosa importante qui dentro è che le diverse discipline vengano unite in funzione dei progetti audiovisivi».

e di settori diversi del mondo dell’arte e dei media…

Dies Ordre: «Sì, tanto per dirti, oggi mi ha chiamato un architetto interessato alla costruzione architettonica di certe nostre performance e, in particolare, all’individuazione di strutture geometriche riconoscibili, entro cui avviene poi una serie di mutazioni».

Sta cambiando però anche il pubblico dei fruitori di live media, anche in Italia…

Maikko: «Spesso sono anche i luoghi a determinare lo stupore o la naturalezza con cui un certo tipo di evento viene accolto. Il successo dell’evento Electric Trance è stato proprio nell’accostamento di due tipi di pubblico diversi che difficilmente avrebbero avuto la possibilità di accostarsi ad altre forme di espressione».

Visto che ci troviamo qui, dentro al laboratorio, mostratemi le macchine che usate.

Maikko: «Come puoi vedere c’è un po’ di tutto, dall’archeologia informatica alle macchine più moderne. Per i nostri set live usiamo un mixer audio da palco Mackie SR32, un paio di mixer video e tutti i laptop, un groove box Roland MC505 e un campionatore Yamaha SU700, al quale siamo molto affezionati. Come riproduttori: il doppio cd player Omnitronics e alcuni piatti della Technics. Più le videocamere digitali…».

Orgone: «…che sono sia Canon che Sony, anche se tra loro c’è una certa differenza di qualità nella ripresa. Il mixer video è un fantastico Panasonic, molto comodo anche per il trasporto. Mentre come computer usiamo indifferentemente Pc e Mac».

Quel Korg monofonico MS20 lo campionate o lo usate in presa diretta?

Maikko: «Anche in presa diretta, ma solamente in laboratorio in alcune nostre famigerate jam-session».

Avete qualche software di riferimento?

Foto: MIchele Coralli

Xo00: «Premiere e Flash sono quelli che usiamo più spesso. Flash ad esempio lo abbiamo utilizzato per il quartetto, sia per la parte video sia per la parte audio, sfruttando gli errori di calcolo sul suono. Vogliamo valorizzare i limiti del software, che è specifico per il web, ma che ha anche alcune caratteristiche che ne permettono l’utilizzo in una performance dal vivo. Dal punto di vista video è molto leggero perché fa riferimento a una grafica vettoriale ed è gestibile direttamente da una tastiera. Da essa si richiamano direttamente i file, che vengono lanciati subito con un buon sincrono. Certo, dal punto di vista dell’audio non si può contare su un gran numero di effetti, ma solo su alcuni campionamenti e dei loop. Siamo riusciti però a tirar fuori molte cose, proprio a partire dai suoi limiti, lavorando sugli errori, come generare delle forme d’onda e a gestirle».

Maikko: «Abbiamo moltissimo materiale inciso, ma pochissimo è stato pubblicato, per lo più su CD-R ed MP3 scaricabili attraverso la radio del nostro sito. Se intendi però incisioni per etichette discografiche tradizionali, ancora no. Anche perché abbiamo sempre puntato all’autoproduzione di tutti i nostri materiali, di cui ci interessa curare ogni aspetto produttivo. Fino ad oggi non abbiamo fatto alcun tentativo serio per sondare le etichette che si occupano di elettronica sperimentale».

Xo00: «In Otolab è sempre stato privilegiato l’aspetto audiovisivo. Se avessimo fatto solo audio, avremmo prodotto sicuramente dei dischi. Di fatto ogni nostro progetto audio ha un suo corrispettivo video. Ragionando in questo senso, il mezzo più consono per noi sarebbe il DVD».

Anche se un mezzo così ricco come il DVD, che unisce audio e video, non racchiude in sé la globalità sensoriale di una performance.

Orgone: «È vero. Infatti ci troviamo di fronte al problema della trasposizione da un media all’altro. Del resto non è un problema di oggi, ma una cosa che riguarda tutta l’arte performativa dagli anni ’60 e ’70. Ultimamente abbiamo fatto una registrazione di una performance per un DVD che uscirà per il festival di iXem. Abbiamo ricreato un ambiente corrispondente alla performance dal vivo, ma senza pubblico. Abbiamo però studiato tutti i dettagli, dalla regia al montaggio, per ottenere una cosa che, pur essendo diversa dalla performance live, ne evoca le forme».

Maikko: «Trovarsi, ad esempio, al centro di quattro schermi cambia la prospettiva del fruitore rispetto alla visione di una performance su un solo video. Queste caratteristiche sono difficili da restituire attraverso un medium riprodotto, ed è per questo che attraverso il lavoro di regia si è tentato di ricreare l’idea di immersività della performance».

Orgone: «C’è anche un’altra questione. Ossia che molti lavori hanno sonorità che si riescono ad ascoltare solo a volumi sostenuti. Da casa una certa fisicità data dall’onda d’urto si perde completamente e si finisce per adottare un ascolto più cerebrale».

L’utilizzo di grosse masse sonore sostenute da volumi significativi determina però una certa passività nell’audience…

Xo00: «La fisicità del suono e il coinvolgimento visivo sono parte della nostra estetica e, più in generale, di un certo tipo di musica elettronica che coinvolge musicisti come Ikeda, Pansonic o Einstürzende Neubauten. Ma ci sono esempi di influenze stilistiche di questo tipo anche in musicisti “colti” come Nova o Romitelli».

Orgone: «Effettivamente quello che facciamo è un po’ troppo brutalmente esperienziale per il mondo della musica colta e un po’ troppo sofisticato per il mondo del rave tout court. Però non siamo gli unici che si trovano in questa situazione. Anche se mi suona strano dirlo, facciamo parte di una tendenza molto diffusa…».

da:«Strumenti Musicali» n283, febbraio 2005 © altremusiche.it / Michele Coralli

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