Bääfest [Stecca degli Artigiani, 12-13 giugno 2004, Milano]

Foto: Michele Coralli
Michele Coralli

Il pregio di questi festival “leggeri” è senz’altro quello di semplificare certe dinamiche organizzative, rendendo il più possibile diretto il rapporto tra chi mette in piedi un evento e chi vi partecipa. In questo modo chi suona ha modo di proporre quello che fa, le piccole etichette riescono a mettere in mostra i propri lavori e i baretti sono felici perché le birre scorrono a fiumi. Credo che questo ben sintetizzi quella che retoricamente viene dipinta come “scena alternativa”.
Il Bääfest nasce come iniziativa di Ebria Records per dare visibilità ad alcuni artisti che ruotano attorno a un giro noise-improvvisativo, hard-core, para-jazzistico, industrial, elettronico e per far questo allestisce in uno di quegli spazi post-industriali occupati da realtà antagoniste una due giorni molto intesa con un ampio ventaglio di musicisti provenienti da diverse parti d’Italia. Così nelle serate di sabato 12 e domenica 13 (ma le session iniziano già nel pomeriggio) si alternano i genovesi Chuck Norris Zen Solution Ensemble, i fiorentini Freetto Meesto, Pin Pin Sugar, i milanesi OvO e Tasaday, i Tanake, I/O, i bolognesi Sinistri e il gruppo cult Zu. In tutto ben 12 ore di musica che danno un significativo spaccato della realtà musicale “altra”, che caratterizza la scena musicale nostrana (nonché un mercato sommerso, mai conteggiato nelle statistiche di vendita).

Palco ridotto a semplice pedana, luci fisse, ma discreto impianto di amplificazione. E su questo niente da dire… Purtroppo però lo spazio non è enorme e di gente, nonostante la proposta ancora poco modaiola, non ne manca certamente, complice l’aura alternative di certi luoghi. Una scomoda colonna taglia in due la platea e un certo brusio crea una forte saturazione nella sala, rendendo più difficile che in altre sedi la concentrazione sulla musica, ma tant’è. Sarebbe fuori luogo farsene un problema.

Una simile concentrazione di musica impone una scelta, limitando la visione degli spettacoli serali, tralasciando quelli del pomeriggio (e mancando purtroppo l’appuntamento con Tanake e Freetto Mesto, di cui abbiamo recensito i lavori, ma che non siamo riusciti a vedere all’opera dal vivo).
Non perdiamo invece l’esoterico duo Ovo, che di sé vuole dare una certa immagine trucida, vagamente satanista, e che qui “presenta” il suo ultimo lavoro Cicatrici (Ebria). Bruno Dorella tiene in piedi un forte disturbo rumorista prodotto dalla cantante e chitarrista Stefania Perdetti attraverso una ritmica sostenuta su timpano e crash, o su un basso elettrico coricato. Molto istinto, poca ragione. Look e trovate sceniche. I Tasaday possono giocare qualche carta in più sul piano della complessità e della stratificazione di segnale. Si presentano con un organico a sei, che si spartiscono mondi digitali e analogici, in modo assolutamente sbilanciato a favore dei secondi con un bel Korg in bella mostra dietro ad Alessandro Ripamonti. Anche loro hanno dei nuovi materiali da presentare, quelli di In attesa, nel labirinto, che tutto sommato riescono a superare bene l’esame dal vivo, nonostante si perdano molte di quelle sfumature che invece sono evidenziate nelle registrazioni in studio. Loro sono senz’altro tra quelli che meriterebbero una sede più consona alla propria musica (leggi teatro). Nella seconda giornata l’attesa per Zu, fa passare un po’ in secondo piano la performance di Sinistri (ex Starfuckers), a dir la verità un po’ ripetitiva nel suo groove funky rallentato. Interessanti per poco tempo. Lasciano il campo ai romani Zu, quelli da centocinquanta date all’anno, che girano tra Europa e Stati Uniti per suonare dal vivo e incidere dischi (con Steve Albini). Hanno un set molto semplice, nessuno orpello, ma il loro sound è davvero intenso. Pupillo, Mai e Battaglia tengono il palco con una professionalità non certo improvvisata. Sanno che le loro aritmie, i cambi improvvisi di metrica e il violento impatto jazz-core riescono a catturare l’attenzione anche dei più distratti. Si entra nel gioco della rock band: il terreno più rumoristico e improvvisativo che determina facili straniamenti e perdita del senso di orientamento, viene qui negato a favore di una musica, che per quanto irregolare, è molto affermativa, sapendo catturarti fin dal basso ventre, per poi farti riflettere sui ritmi inferociti che ognuno cerca faticosamente di seguire. Band che rimane e che si colloca tra le migliori esperienze avant italiane degli ultimi anni.

Ecco qui il Bääfest. E molti si interrogano su come confezionare eventi legati alla contemporaneità che abbiano riscontri anche tra i giovani. Basterebbe dare un’occhiata a queste officine per farsi un’idea più che significativa di una fetta di musica di oggi. Il festival si vorrebbe dare una struttura itinerante, a buon intenditore poche parole…

luglio 2004 © altremusiche.it / Michele Coralli

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