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1957: Un giovane e già carismatico Claudio Villa vince il Festival di Sanremo con la canzone Corde della mia chitarra. Questo avviene nonostante una celebre stecca che fornisce alla stampa il pretesto per attaccare il personaggio, anche a causa di una certa boria e di una esibita sicumera vocale espressa attraverso fioriture e virtuosismi che incontrano sempre i gusti del grande pubblico. Nonostante la stonatura, Villa vince ma, come da tradizione, la stecca porta con sé un seguito di polemiche, cavalcate ad arte dal settimanale «TV Sorrisi e Canzoni», il quale indice addirittura un referendum tra i favorevoli e i contrari al “reuccio”, a breve distanza, tra l’altro, dalla discesa in campo di un onorevole missino che muove niente meno che un’interrogazione al ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni!
Per non far mancare punti di vista autorevoli, sul giornale è chiamato a intervenire anche Pier Paolo Pasolini, che in maniera molto asciutta commenta: “Mi piace il repertorio delle canzoni melodiche di Claudio Villa, perché mi piace il pubblico che ama questo stile popolare e verace” (mutatismutandis, un pensiero affatto dissimile da quanto poi espresso in poesie come Transumanar e organizzar, 1971). A dirla tutta, però, Claudio Villa è perfettamente in grado di difendersi da solo, da par suo, ovvero in modo orgoglioso e antipatico a molti: “Giunto alle più alte sfere della popolarità, ho provato a piegarmi dall’alto del piedistallo su cui mi hanno fatto assìdere, ho voluto guardarmi intorno e guardare negli occhi di queste ragazzine romantiche che palpitano davanti alle mie fotografie. Stabilire un contatto che riveli a tutti gli ammiratori della mia voce che dietro questa voce c’è una persona che ama, soffre e lotta. […] Claudio Villa non intende lasciare i suoi ammiratori come miseri mortali in adorazione del divo prediletto”.
1975: La FGCI di Roma organizza presso il Palazzo dello Sport una festa per il XXX della Liberazione. Ci sono molti musicisti e attori “organici”come quelli del Nuovo Canzoniere Italiano (Ivan Della Mea, GiovannaMarini, PaoloPietrangeli, Paolo Ciarchi), gli Inti Illimani, Maria Carta, Giorgio Gaslini, Mario Schiano, Gian Maria Volonté, Luigi Proietti e naturalmente Luigi Nono, fresco di nomina al Comitato centrale del PCI. L’evento viene documentato in modo accurato da Luigi Perelli nel film Musica per la libertà (Unitelefilm, 1975; disponibile sul canale YT dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico). Un mondo militante e una varietà musicale si incontrano in un interessantissimo melting pot che affianca canzoni di lotta, freejazz e musica d’avanguardia; per quanto a farla da padrona, sotto il profilo emozionale, sono soprattutto i gruppi esuli cileni, Inti Illimani in testa, in virtù ovviamente del recente colpo di Stato di Pinochet, avvenuto un anno e mezzo prima. Questo il ricordo di Della Mea: “Va Pietrangeli con la Contessa, va la Marini coi Treni per Reggio Calabria, vado io con la Cara moglie. Pugni alzati, cori alla grande. Applausi a scroscio” (Ivan Della Mea, «ilmanifesto», 31/05/2008).
Insomma una grande celebrazione musicale e politica, tipica di quegli anni…
Poi arriva il momento di Luigi Nono che offre l’ascolto del suo Canto sospeso per solisti, coro misto e orchestra (in questo caso però da una registrazione su nastro magnetico). Il brano del 1955-56, basato sulle Lettere di condannati a morte della Resistenza europea (Einaudi,1954), viene scelto al posto del più recente Für Paul Dessau (1974) il cui nastro non è disponibile (il perché lo spiega lo stesso Nono nel film). Il canto sospeso è una composizione militante,pregna di contenuti civili che sfuggono a ogni possibile retorica di parte, ma probabilmente è molto meno intellegibile nei suoi contenuti rispetto alla composizione scritta per Dessau, forte del campionamento delle voci di Che Guevara, Fidel Castro, Lumumba e Lenin, che forse avrebbero suscitato un altro tipo di reazione da parte dei giovani della FGCI. E invece alcuni di costoro, di fronte a una musica che arriva alle loro orecchie improvvisamente distante, fredda, concettuale e soprattutto non adeguata al veemente spirito di lotta appena riscaldato dai canti collettivi, iniziano quasi subito a fischiare Nono. E in modo impietoso.
Così Della Mea: “Poi, Nono. Una cosa sua registrata, con lui che armeggia a vista intorno a magnetofoni: suoni strani, altri, difficili da capire. Silenzio del pubblico. Poi, un fischio. Due fischi. Una selva di fischi. Nono imperterrito prosegue. Il Palazzo è tutto un fischio”.
A questo punto il compositore prende il microfono e improvvisa un discorso memorabile che ribalta completamente la situazione: “Compagni, c’è un fatto culturale e politico di grande importanza: mi rendo conto del perché dei fischi e mi rendo conto anche di una certa difficoltà. Ma noi comunisti dobbiamo essere convinti e coscienti che dobbiamo usare tutti i mezzi a disposizione della cultura… Dobbiamo usare tutti i mezzi, non solo le chitarre… Dalle chitarre, dai canti politici, alla musica elettronica, alla musica strumentale. E non abbandonarci a facili trionfalismi, né ai semplicismi politici dei testi. La cultura comunista è un fatto serio, è un fatto che impegna – come dice Gramsci – la grande intelligenza. Può essere difficile, ma ricordatevi che abbiamo bisogno di tutta l’intelligenza nostra e di tutti i mezzi a nostra disposizione se vogliamo realizzare l’egemonia culturale della classe operaia” [la trascrizione dal film di Perelli è nostra, NdA ].
Il palasport esplode in un tripudio di applausi. Il consenso perso durante l’ascolto, è guadagnato sul piano dialettico.
Cosa è successo quindi?
Come avrebbe certamente detto Luigi Pestalozza, la situazione si è ribaltata perché il pubblico è stato “formato”, ovvero ha appreso che dietro quei suoni c’è un pensiero che esige rispetto, al pari del rispetto che esige ogni lavoro dell’uomo.
Ed è proprio questo l’approccio attraverso il quale si muovono in quel periodo iniziative analoghe, che portano la musica contemporanea nelle fabbriche. Il desiderio è quello di coinvolgere gli operai attraverso spiegazioni ideologiche atte a consentire la fruizione di suoni complessi e di non facile assimilazione, seppur densi di significati. Il portato dello sforzo culturale è storico, anche se gli esiti non sono sempre felici. All’interno del Palazzo dello Sport il pubblico della FGCI si divide tra chi apprezza lo “stile popolare e verace” dei canti con la chitarra(il punto di vista pasoliniano) e chi invece si sforza di capire e di apprezzare anche la musica d’avanguardia di Nono.
Cosa mette in comune allora questi due episodi così esteticamente distanti, come la conferenza stampa di Claudio Villa e il comizio improvvisato di Luigi Nono, aldilà dell’oggettivo impegno di entrambi nel Partito? Ebbene, questi eventi ci parlano di due artisti militanti colti nell’atto di mettere in pratica il concetto gramsciano di “egemonia culturale”, un passo fondamentale della lotta politica.
Riprendendo finalmente Antonio Gramsci, possiamo riferire le sue osservazioni sulla lingua per ricondurle alla musica, proprio perché questo è stata uno dei media più potenti fin dai tempi della Rivoluzione francese: “Ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la questione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l’egemonia culturale”. (Quaderno 29, Note per una introduzione allo studio della grammatica, 1935).
A modo loro sia Villa che Nono “formano” il loro pubblico. Il primo, stabilendo “un contatto che riveli a tutti gli ammiratori […] che dietro questa voce c’è una persona che ama, soffre e lotta” e così facendo, eliminando ogni tratto divistico legato alla popolarità, rifiutando cioè quel cliché tipico della cultura pop nella quale i fan vengono considerati dei “miseri mortali in adorazione del divo prediletto”. Se qualcuno deve imparare a stabilire dei rapporti intimi tra gruppi dirigenti e masse popolari, si rilegga con attenzione queste parole: Claudio Villa sembra aver appreso molto bene la lezione gramsciana.
E lo stesso dicasi per Nono che stende a braccio, di fronte a una platea “ostile”, una vera e propria parafrasi del pensiero gramsciano, ributtando in faccia a quella parte di pubblico acritico e ottuso la lezione del padre di tutti quei giovani comunisti, spinti troppo in là da “facili trionfalismi”e semplificazioni culturali di comodo. Con ogni probabilità questo è ciò che manca – e che mancherà ancora per lungo tempo – nella dialettica politico-culturale di questi anni 2000: un partito capace di raccogliere e mettere in agevole sintonia anime veraci e popolari da una parte, anime intellettuali dall’altra.
E – aggiungiamo noi – anche anime eretiche come PPP, tenuto sempre a dolorosa distanza dalle dirigenze del Partito comunista italiano, come in una sorta di grave (e mal riposto) lusso morale, o meglio, di mala-interpretazione di quel concetto di egemonia culturale, piegata di fronte al più becero dogmatismo o, peggio, moralismo puritano.
Ma questa, come si dice, è un’altra amara storia comunista…
Articolo pubblicato su © Tessere il futuro / Sito realizzato da un gruppo di artisti per i cento anni dalla nascita del PCI / 1921-2021
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