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RIO in formazione di quartetto rigorosamente classico (ovvero flauto, clarinetto, violoncello e violino). La cosa non desta grandi meraviglie, dato che la qualità spiccatamente cameristica di quella musica che si è radunata attorno alla fronda utopistica post-progressiva cresciuta a pane, marxismo e avanguardie di vario genere è stata la sua vera colonna portante. Si suole considerare “da camera” soprattutto Henry Cow, così come Univers Zero, che all’interno dei rispettivi organici sdoganarono strumenti desueti anche per i gruppi progressive più votati alla sperimentazione come il fagotto, l’oboe o la viola.
In realtà il linguaggio votato a scritture molto accurate e rispettose delle regole armoniche e contrappuntistiche o della loro consapevole trasgressione era assai diffuso anche tra gli gruppi di RIO come Stormy Six, Samla Mammas Manna, Etron Fou Leloublan, Art Zoyd, Art Bears e Aksak Maboul. Così come lo è ancora certamente tra tutte quelle esperienze di confine che al cosiddetto “RIO sound” in qualche modo si legano. Il passaggio dalla matrice “rock” alla sua ripresa in formato classico è quindi in questo caso assolutamente lineare e privo di forzature. Con questo non si vuole togliere alcun merito al lavoro di trascrizione di Giovanni Venosta che per il quartetto di Emilio Galante plasma due brani di Fred Frith (i celebri Norrgarden Nyvla e The Hands Of The Juggler dal capolavoro “Gravity”) e di Daniel Denis (la sontuosa Présage da “Uzed”). Il passaggio è curato nei minimi dettagli da uno che conosce davvero nel profondo il repertorio, oseremmo dire quasi da devoto discepolo, dato che, ad ogni buon conto, confessa nelle note di copertina di tenere con religiosa devozione il manifesto di “Rock in Opposition” al Teatro dell’Elfo (Milano, A.D. 1979) proprio di fianco al letto.
Il “Sonata Island goes RIO” di apre però con una piccola perla frithiana più recente, Snake Eating Its Tail, dal suo progetto Cosa Brava, un brano forse meno evocativo, ma certamente fresco come i precedenti (la trascrizione in questo caso è di Mauro Pedron). Nel proseguire la scaletta sono da segnalare i due brani originali di Galante – l’omaggio ai Thinking Plague e il minimalistico Distillando che getta un’altra passerella di collegamento con il mondo della musica ripetitiva di stampo glassiano. Di estrazione post-RIO invece i brani di Tiziano Popoli (Crossroads) e Stefano Zorzanello (Luoghi che aspettano che chiude citando proprio il Frith precedente). E ancor più “post” Brachilogia di Francesco Zago in un salto generazionale che si sposta sempre più verso l’attualità avant-rock, o come diavolo si voglia chiamare questo genere ormai oggetto di contaminazioni trasversali (alto-basso, destra-sinistra, Est-Ovest) che ne hanno completamente offuscato i contorni, facendo perdere anche il senso di appartenenza a quella supposta radice estetica che sapeva di utopia per un mondo (musicalmente) migliore.
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