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Una vibrante emotività permea queste tre pagine di Arvo Pärt, pubblicate qui con la supervisione dell’autore. Wallfahrtslied / Pilgrims’ Song è un’opera del 1984, che in questo caso viene eseguita nella sua versione rivisitata e allargata a un organico comprendete orchestra d’archi e coro maschile, in luogo dell’originale quartetto d’archi e voce solista. Il lavoro, costruito a partire dal testo del salmo 121, situa le proprie coordinate linguistiche in un’aura di stampo quasi wagneriana, per l’utilizzo in chiave evocatrice del coro monodico e monotonico (quasi un “dietro alle quinte”), ma soprattutto per i travolgenti percorsi cromatici che l’orchestra compie, quasi ad interrompere la staticità del verso biblico intonato in modo ripetitivo. L’unico movimento, contemplato nella composizione, viene incorniciato da un tema arpeggiato da violini, viole e bassi su tempo largo, facendo giocare, anche qui, piccole alterazioni che muovono la melodia su semitoni cromatici per creare lievissimi urti armonici.
Orient & Occident (datato 2000) è il brano centrale della raccolta (secondo uno spirito della simmetria che è molto caro al compositore estone). Oltre che a distinguersi dalle altre due composizioni per la natura dell’organico (qui viene prescritta un’unica orchestra d’archi), sembra esserci una forza vibrante che sostiene tutta la composizione, capace di scaturire quasi a causa di un dissidio interno alla struttura orchestrale: melodie che non decollano, movimenti implosi, pause di silenzio improvvise. Eppure non siamo di fronte alle inaspettate esplosioni di suono di Kacheli, bensì ad uno spasmodico contorcimento orchestrale che non trova una sua dimensione di pace: qui quell’auspicata esplosione che non avviene. Ci piace pensare che sia proprio l’idea che vorrebbe raffigurare l’arduo rapporto tra le culture occidentali e quelle orientali ad essere raffigurata in questo tormentato movimento orchestrale, davvero geniale.
Con Como cierva sedienta, per coro femminile, soprano e orchestra, opera eseguita per la prima volta nel 1999, torniamo con i piedi per terra, nonostante l’alone mistico che la composizione porta con sé. Tutto sommato si fanno notare idee più convenzionali, nonostante la pletorica articolazione formale concepita in cinque movimenti: suoni eterei, dimensione sospesa, pathos ricercato, dimensione ultraterrena danno il senso del già sentito, del già epistemologicamente vissuto attraverso analoghe dimensioni musicali di stampo mistico.
Ma, se è vero come dice lo stesso Pärt, che esistono tante modalità di percezione quanti sono gli ascoltatori, non possiamo che porci in un’ottica assolutamente soggettiva anche in questo caso. Allo stesso modo, sempre seguendo la parole del compositore, il percorso che ci porta dalla percezione alla parola contempla una grandissima perdita di senso della verità. La musica provoca nei nostri animi certamente una indefinibile risonanza, che rimane molto spesso segreta e ineffabile, pur tuttavia crediamo di poter descrivere la musica in quanto materia che non riguarda il mondo delle sfere celesti, bensì quello degli uomini. In quanto tale, anche la sublime musica di Arvo Pärt, nonostante l’assiduo processo di purificazione sembra stentare nel tentativo di liberarsi del proprio afflato materialista. E forse è proprio per questo che ci piace.
2002 © altremusiche.it
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