Charlie Haden and the Liberation Music Orchestra [Arco della Pace, Milano, 14 luglio 1991]

Andrea Coralli
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In mezzo alla rassegna di concerti gratuiti organizzati da Sonora l’estate scorsa a Milano, rassegna che per il resto ha snocciolato le solite amenità fusion, brillava il nome della storica Liberation Music Orchestra di Charlie Haden. La ricostituita formazione, che già nel 1987 aveva suonato a Milano, ha presentato un set basato quasi esclusivamente sul recente album Dream keeeper (Polydor, 1990), premiato dal referendum di “Down beat” come miglior disco jazz della stagione. Seri problemi organizzativi (l’acqua che colava dal tendone sui musicisti, il vento che trascinava via gli spartiti, la prematura conclusione del concerto per la tutela della quiete notturna dell’evidentemente influente vicinato) non hanno impedito a Haden e company di farci assistere a un’esibizione convincente e a tratti toccante. Nella migliore tradizione dell’orchestra, la musica eseguita accosta le diverse tradizioni del jazz (dallo spiritual al free) a materiale desunto da tradizioni musicali popolari o legate ai movimenti di protesta di questo secolo.

Rispetto allo splendido disco d’esordio del 1969, uno dei lavori più belli dell’epoca, la Liberation Music Orchestra mantiene le sue valenze politiche e protestatarie a livello di contenuti e scelte del repertorio, smussandole però al livello più strettamente musicale. Prevale infatti l’equilibrio dell’orchestrazione (affidata alla cura sapiente di Carla Bley) sulle spinte improvvisative, pressoché limitate ad alcuni interventi solistici, in particolar modo quelli del sax alto di Ken McIntyre, l’unico vero elemento perturbatore del gruppo. In luce, sul versante dei più disciplinati, Sharon Freeman al corno francese, Tom Harrell alla tromba (anche se non mi è parso il conclamato erede di Chet Baker di cui si parla) e Amina Mayers al piano e alla voce (notevole l’interpretazione di Spiritual). Dietro a tutti, a tessere le fila armoniche con le note precise e “rotonde” del suo contrabbasso, Charlie Haden, coadiuvato alla batteria dal fedele Paul Motian, unico sopravvissuto con lui della formazione originaria. Fra i brani presentati, e che compaiono anche sul disco della Polydor, segnaliamo il Canto del Pilon, motivo della tradizione venezuelana, l’inno del movimento delle donne anarchiche della guerra di Spagna, e Nkosi sikelel’i Afrika, inno dell’African National Congress.

Nell’insieme l’attraversamento di stili e linguaggi diversi permette all’orchestra di mantenere una rara freschezza musicale, peraltro forse “troppo gradevole”, ma mai comunque subalterna alle logiche di merchandising tipiche della world music. Peccato che l’imposizione di una soporifera tranquillità notturna abbiano privato, come già avvenne quattro anni fa, pubblico e musicisti dei bis.

da: Andrea Coralli, “Navigando sui mari di formaggio”, Auditorium Edizioni, 1996 © Michele Coralli

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