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Musica sghemba per un trio dinocolato basso/chitarra/batteria, che per un’abbondante mezz’ora divaga senza possibili direzioni all’interno di un mondo sonoro abbastanza chiuso e claustrofobico. I tre negano dinamiche, fraseggi, strutture e disegni ritmico-melodici. C’è un continuo ripiegarsi su se stessi attorno a pseudo-pattern apparentemente casuali, che prendono il volo come un uccello chiuso in una stanza, le cui traiettorie rimbalzano da un punto all’altro senza conclusione. La chitarra di Sam Shalabi, sorda e monocromatica, è forse la maggior responsabile di questo “impaccio” linguistico. Da parte sua anche il basso di Alexandre St-Onge, cupo e azzerato nella determinazione di altezze facilmente identificabili, dà il suo contributo all’ottusità del panorama. Forse è proprio Michel F Côté a dare profondità di campo attraverso un drumming sempre molto ricercato, a-virtuosistico e per questo decisamente puntuale e azzeccato.
“Jane and the Magic Bananas” è una buona metafora sonora della realtà di oggi, chiusa in se stessa da competenze così straordinarie, da risultare inutili. Certamente competenze che non vengono messe in campo, ma nemmeno evocate. Il groviglio di suoni che conduce direttamente a uno sgabuzzino sembra un nuovo messaggio Fluxus, lanciato per dire a chi può entrare in contatto con questa musica che in certi momenti si può abbandonare tutto, per cercare davvero il senso del perché facciamo arte o del perché non possiamo farne a meno.
2012 © altremusiche.it
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