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La filosofia di Gilles Deleuze si sta dimostrando quella che meglio interpreta la modernità. Molti dei suoi saggi, scritti in collaborazione con lo psicologo militante Felix Guattari tra il 1966 e il 1995 (anno della morte di Deleuze), mostrano sorprendenti risvolti, che, se non addirittura profetici, possono a tutti gli effetti considerarsi anticipatori di un’epoca come quella attuale, un’epoca che ha perso il suo centro o i suoi centri per diventare “un corpo senza organi”.
Sebbene l’attenzione speculativa del filosofo francese non si sia concentrata esclusivamente sugli aspetti artistici della società moderna e che, quand’anche l’ha fatto, i punti di riferimento culturali nello specifico musicale siano stati maggiormente quei compositori legati alla contemporaneità più “accademica” come Varèse, Boulez, Cage o Berio (ma anche del passato come Mozart o Schumann), c’è però da diverso tempo anche un’altra contemporaneità che guarda a Deleuze come a colui che è in grado di dare ragione (o fornire solide interpretazioni) alla nuova musica elettronica, quella cioè che si nutre di quella materia che “non è più caos da sottomettere ed organizzare” bensì “materia in movimento di una variazione continua”. Un oggetto che nell’ideazione di Deleuze e Guattari “smette di essere la materia di un contenuto, per divenire materia di espressione” (“Mille Plateaux”, 1980).
Sono tante le invenzioni dei due francesi che sembrano adattarsi alla realtà postuma della nuova elettronica: la teoria della musica come atto di deterritorializzazione, i concetti come “rizoma”, “spazio liscio” e “spazio striato”, il “tempo pulsato” e il “tempo non pulsato”. A partire dalla sua conferenza dell’IRCAM che risale al 1978, ma anche, forse, dall’incontro con il musicista rock-sperimentale Richard Pinhas pochi anni prima, Deleuze e Guattari hanno raccolto delle sollecitazioni poi, in parte, articolate nel proprio sistema di pensiero.
C’è poi un’altra vicenda che si intreccia ed è quella che si lega all’affetto e alla stima nei confronti di Deleuze da parte di persone come Guy-Marc Hinant, co-direttore dell’etichetta belga Sub Rosa, o come Achim Szepanski, patron di un’altra etichetta, la tedesca Mille Plateaux. Entrambi, a brevissima distanza dalla morte di Deleuze, pubblicano due raccolte di musica elettronica a lui dedicate (rispettivamente “Folds And Rhizomes” e “In Memoriam Gilles Deleuze”) che includono i contributi, tra gli altri di: Scanner, David Shea e Tobias Hazan, Oval, Mouse On Mars, Jim O’Rourke, Dj Spooky. Il legame ricercato da Hinant con il filosofo è una delle eredità rizomatiche che Deleuze ci lascia, visto che il rapporto tra quest’ultimo e la nuova musica elettronica è rimasto a un livello pre-embrionale.
Rimangono invece le dialettiche del pensiero deleuziano, adattabili alla realtà dell’oggi, quella musicale, ma non solamente. Rimane il fatto che una generazione si è infatuata di un filosofo che ha indicato con sottigliezza una strada possibile, quella che però, secondo quello che siamo abituati a pensare, somiglia a tutto fuorché ad un univoco percorso rettilineo.
“Millesuoni” è un libro che anche nella sua impostazione policentrica fa iniziare nuovamente questa nuova storia di musica e pensiero proprio a partire da alcuni input disorganici che non vogliono farsi sistema, ma solamente suggerire nuovi accostamenti attraverso le riflessioni (molto diverse tra loro) di una serie di “addetti ai lavori” (musicisti, filosofi, intellettuali e artisti). Al lettore il compito di scegliere quale atmosfera preferire nell’avvicinarsi al pensiero di Deleuze e Guattari.
2006 © altremusiche.it
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