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Dobbiamo ricordare Luciano Berio (21 ottobre 1925 – 27 maggio 2003) e ci preme farlo non solamente per i suoi meriti musicali, ma anche per la sua capacità organizzativa, che non ha pari nel mondo della musica contemporanea.
Animatore (o meglio ri-animatore) di una moribonda scena musicale come quella nostrana, perennemente in bilico tra la moderna mondanità borghese e la rigurgitante liturgia austro-ungarica, Berio ha attraversato con assoluta coerenza mezzo secolo di clamorose spinte propulsive e inaspettati rimbalzi, di entusiasmanti risposte e di duri osteggiamenti.
Dalle “rovine fumanti” della Milano del Dopo-guerra alla Roma dell’Auditorium, Berio ha impiegato la stragrande maggioranza del suo tempo mortale alla ricostruzione di un moderno pensiero musicale e all’edificazione della struttura entro cui far sopravvivere tale pensiero: un’attività da archivista per la tutela della progettualità del compositore contemporaneo (in via di estinzione, ancor prima di essere diventato adulto), che non ha pari nel mondo para-istituzionale. Lo Studio di Fonologia di Milano prima, il Centro Tempo Reale di Firenze in seguito, la parabola dell’attività di Luciano Berio non ha mai cessato di prodursi in un atteggiamento costruttivo, forte di una concezione della musica che ha messo sempre in primo piano il pensiero dell’artefice, al posto del vuoto della forma. Musica, ossia “edificio che ha come architetto la società e come designer la storia, ma la cui pianta non sarà mai data, perché le sue stanze sono aperte, mutevoli, spalancate su prospettive sempre diverse e nuove.”
A partire dall’estetismo della condotta seriale e da certo intellettualismo calcolatore, focalizzato su un’idea esoterica dell’arte, non più come partecipazione, ma come negazione di ogni condivisione, molti eletti della Nuova Musica hanno scavato un solco non solo tra sé e il pubblico, ma anche tra sé e la società nel suo complesso. Probabilmente a partire da un certo riflusso nelle musiche contemporanee, manifestatosi già con gli anni ’80, molti compositori della prima stagione sperimentale sfioriscono in un guazzabuglio pre-post-ante-avantgarde/minimal/neotonalista, aprendo una nuova stagione completamente “inedita” per chi aveva iniziato a lavorare sulle complesse organizzazioni seriali.
Berio è sempre stato un oppositore della causa minimalista, osteggiandone soprattutto la semplificazione del processo di accumulo che sta alla base di questa visione del mondo. Già dalle prime esperienze sperimentali con Maderna, l’idea che ha dato forza alle composizioni di Berio è quella dell’opposto processo sottrattivo, probabilmente per arrivare a quell’idea utopica, di ascendenza rinascimentale, che esalta la materia naturale come base della struttura ordinata dall’artefice: caso significativo quella celebrazione del suono sinusoidale, simbolo della purezza tecnologica, ma anche elemento primo che ha ispirato la costruzione musicale dei vari Nono, Maderna, Pousseur e Stockhausen.
Sono a tutt’oggi da considerarsi capolavori assoluti della musica sperimentale composizioni come Thema (Omaggio a Joyce), Laborintus II, in cui la combinazione tra procedimenti additivi dei singoli fonemi intonati dalla voce e le sottrazioni operate sulle strutture complesse ottenute, determinano quel modus operandi da scultore del suono che si diceva prima. Allo stesso modo anche Visage, Passaggio, Sinfonia, le diverse Sequenze, Momenti e, per finire, Outis e Cronaca del luogo. Ma rimane l’obbligo di rimandare all’IRCAM per una seria disamina del corpus delle composizioni di Luciano Berio, prima che anche nell’arretrato web italico qualcuno si muova per rendere disponibili per tutti quei materiali che appartengono al nostro patrimonio comune. In attesa del prospettarsi di nuovi labirinti in cui perdersi…
giugno 2003 © altremusiche.it / Michele Coralli
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