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“Poros allude semplicemente ad una rotta marina o ad una strada lungo un fiume, verso un paesaggio aperto, attraverso un’estensione caotica che si trasforma in uno spazio ordinato ed efficiente per mezzo dell’introduzione di strade differenziate, che rendono possibili diverse direzioni, fino a un’estensione che era inizialmente priva di ogni contorno, di ogni demarcazione. Si parla di poros quando si tratta di tracciare una via nel caso in cui nessuna traccia esiste, per attraversare un’inaccessibile estensione di territori, un mondo sconosciuto, ostile e sconfinato, un apeiron che è impossibile attraversare da un inizio ad una fine.”
Un apeiron (cioè “senza fine, immenso, illimitato”) che, fuori dalla metafora della filosofa francese Sarah Kofman, potremmo estendere agli spazi “caotici” e “privi di contorno” della musica contemporanea colta, che spesso oggi ricerca se stessa tra le pieghe di un accademismo aperto verso le esperienze vernacolari, più per colmare un vuoto interiore, che per soddisfare un reale e spontaneo interesse. Il caos viene quindi percorso da una strada che porta verso innumerevoli direzioni, spesso casuali, a volte cercate. “Poros”, che in greco antico indica un passaggio, un guado, ma anche un braccio di mare e, per estensione, il mare stesso, finisce per non essere così preciso e dogmatico nell’indicazione della strada da utilizzare, in modo da lasciare in sospeso le scelte di percorso. Come in mare appunto, dove la rotta impiegata non farà passare per forza una nave per il medesimo punto.
Il duo Pifarély / Couturier, rispettivamente al violino e al pianoforte, ci guida in questo viaggio (o smarrimento) nella musica, dai due composta. Echi e riverberi, come punti cardinali (anche se meno autorevolmente stabili di questi) fanno capolino nella distesa caotica delle note dei due: Bartók per una certa ritmicità barbara, Messiaen per la ricerca timbrica e coloristica dei suoni e infine l’improvvisazione (dal jazz?) come una delle tante vie di uscita, una Croce del Sud per le navigazioni alle alte latitudini degli oceani australi.
da: “Amadeus”, n.107, 1998 © Paragon / Michele Coralli
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