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“Suono uno strumento che vive oggi uno dei momenti più felici della sua lunga storia. Uno strumento che ha saputo evolversi adeguando struttura e caratteristiche timbriche ai mutamenti del pensiero musicale, fino a trovare nel XX secolo una molteplicità di forme ed espressioni pari solo al periodo rinascimentale e barocco.” Queste le parole di Elena Casoli per introdurre un lavoro che regala un autorevole contributo alla stratificata dimensione della chitarra contemporanea, che ha vissuto, e continua a vivere un’importante fase di rilancio, al contrario di molti altri strumenti di origine classica. Il prontuario che la Casoli ci mette a disposizione pone in lista un gruppo di autori che hanno rivolto la propria attenzione alla chitarra in modo sorprendentemente eclettico e non derivativo.
Iniziamo dal cubano Leo Brouwer, compositore che attende ancora una più ampia rivalutazione alla luce di un repertorio chitarristico troppo poco noto al di fuori della cerchia degli esecutori. Qui ne viene eseguito Paisaje cubano con Campanas, brano del 1984 per chitarra classica, che ben sublima certe pulsioni afro-cubane, assimilate in un contesto contemporaneo che non esclude il ricorso a procedimenti ripetitivi. Pattern in phasing stanno alla base del progetto compositivo di Steve Reich, di cui qui si presenta Electric Counterpoint (1987), in cui tra strumento suonato e nastro magnetico viene fatto scaturire un ben trasfigurato contrappunto. Lou Harrison è l’altro americano, presente in questa raccolta con tre brani tratti dal suo “Guitar Book” (1952/67), con atmosfere che ricordano molto da vicino esperienze di chitarristi come John Fahey nei suoi periodi più orientaleggianti. Significativo comunque l’inserimento di repertori che sono di casa in quell’area della cosiddetta “contemporary steel guitar”. Si ritorna ad un uso più manipolatorio del suono con le composizioni di Maurizio Pisati con Spiegelkontaktfabrik, il cui pensiero visivo ricorda non casualmente un’opera come La fabbrica illuminata di Luigi Nono, di Roberto Doati con L’apparizione di tre rughe e Michele Tadini con Scenario. L’inserimento delle trascrizioni di Toru Takemitsu dei tre evergreen Over The Rainbow, Summertime e Yesterday, sembra invece abbastanza superflua, soprattutto in ragione del fatto che queste, come molte altre canzoni, sono troppo inflazionate, soprattutto in ambito classico.
Breve parentesi polemica in calce: a volte si ha l’impressione che nell’isolazionista mondo della musica classica si scoprano, accanto a repertori contemporanei di difficile assimilazione, autori leggeri su cui sfogarsi come Gershwin o i Beatles, e compagnia bella. E’ ormai diffusa l’odiosa pratica del crossover che porta esimi interpreti a fare un po’ di popular music per le platee – non ci riferiamo ovviamente alla Casoli che dimostra sensibilità anche per ciò che sta fuori le accademie. Risulta invece irritante un atteggiamento come quello di Takemitsu che nel spiegare ai suoi interpreti come devono essere eseguite le sue Twelve Songs for Guitar, dice: “Non sono stato ispirato da grandiose ambizioni, ma solo dal desiderio di scuotere i chitarristi classici dal loro mondo immobile, parendo per loro una finestra su un altro tipo di paesaggio musicale.” Francamente quel paesaggio era già sotto gli occhi di mezzo mondo da più di mezzo secolo. Continuiamo a rimanere nelle nostre torri o usciamo?
2003 © altremusiche.it
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