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Un lungo pedale orchestrale introduce questa serie di brevi composizioni di Eleni Karaindou, concepite per il film di Theo Anghelopoulos L’eternità e un giorno, ultimo della trilogia legata ai problemi della frontiera e vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes. La semplicità ritmico-armonica, l’uso di melodie lente su tempi dilatati nello spazio, la presenza di un leitmotiv dal sapore rapsodico e dalla grande presa sentimentale (il tema dell’eternità può riportare in qualche modo alla memoria quello del film Il dottor Zivago), inoltre i toni musicali mesti e un certo sapore etnico balcanico, ebbene tutte queste caratteristiche fanno di questo lavoro l’ideale commento musicale al film di Anghelopoulos, il quale, a sua volta, predilige tempi cinematografici lenti e colori invernali lividi e sfumati. Egli ha saputo effondere tutta la propria inquietudine morale e tracciare con una poesia sussurrata la decadenza spirituale di un mondo, quello balcanico, perso dietro odi secolari e moderno cinismo, vittima di una frustrazione collettiva sempre più contagiosa.
Continua così il sodalizio tra il regista e la compositrice che dura ormai da qualche anno. Ricordiamo qui Lo Sguardo di Ulisse, film splendido anche per merito di quel rapporto davvero intimo che i due hanno saputo creare tra la musica e le immagini: un contraltare a un’altra coppia artistica di origine balcanica, ovvero Kusturica e Bregovic, molto più caldi e sanguigni. Probabilmente questo è solo uno dei tanti esempi delle estreme diversità che corrono all’interno di una penisola affascinante quanto enigmatica come quella che sta ad oriente della nostra.
da: “Amadeus”, n.115, 1999. © Paragon / Michele Coralli
La musica di Eleni Karaindrou pare volgere la sua più intima essenza proprio a quel carattere evocativo, capace di ben rivestire immagini dense di pathos e struggente malinconia, come già avevamo avuto modo di notare nelle sequenze di film quali Lo sguardo di Ulisse e L’eternità e un giorno. Una caratteristica come questa, applicata alle idee musicali dell’autrice, può trovare infinite applicazioni, soprattutto se volta, come in questo caso, al commento sonoro di una delle può struggenti tragedie del teatro classico. Le troiane di Euripide, allestimento datato 2001 e nobilitato dalla messa in scena presso l’antico teatro greco di Epidauro, si è ben fregiato di quella capacità evocativa espressa tramite l’utilizzo di timbri che trasfigurano suggestioni che a noi giungono attraverso quel vagheggiamento del paesaggio dell’antico mondo mediterraneo, capace di sedurci durante la visita di luoghi dalla potente fascinazione come Delfi o Selinunte.
Eppure è tutta un’illusione, poiché se quei luoghi conservano scarne vestigia pressoché espoliate, i suoni che già qualche compositore contemporaneo ha messo in relazione con il mondo classico (Eduardo Paniagua aveva tentato delle ricostruzioni più o meno rigorose) non sono altro che pure suggestioni o aromi traslitterati. E allora Eleni Karaindrou passa attraverso il folklore per trovare le plausibili connessioni con il mondo di Euripide. Ma a ben vedere non si tratta nemmeno di musica popolare, bensì della trasfigurazione dell’idea di musica popolare: un gioco di scatole cinesi in cui si cerca di sfruttare diverse strade per dare un commento ad una storia che appartiene al teatro del V secolo avanti Cristo, commento che vuol configurarsi come più naturale possibile.
Quindi, come già accennato, è determinante l’utilizzo di timbri che appartengono alla tradizione popolare, anche se pescata ad ampio raggio (Grecia, ma anche Turchia e Medioriente): lauto, ney, santuri, lyra, ecc. sono solo alcuni degli strumenti appartenenti alla tradizione popolare qui adoperati. Ma anche dei cori femminili intonano, in modalità pressoché monodica e in rari momenti polifonici accordali, le migliori idee compositive dell’opera della Karaindrou per Le troiane di Euripide.
Sì, perché le diverse variazioni dei leitmotiv strumentali, basate su un diverso utilizzo timbrico, non eccedono per complessità strutturale, quanto, al contrario peccano di una certa ripetitività (naturalmente obbligata dall’azione scenica). L’utilizzo dei temi conduttori, espediente che dona sia al cinema che al teatro forza capace di costruire un’unità sintattica all’interno della rappresentazione, risulta invece un po’ noioso durante l’ascolto domestico, vincolato a brevi frammenti di poche manciate di secondi.
E per trovare qualche pelo nell’uovo, può risultare leggermente dissonante la presenza di un’unica traduzione inglese nella sezione testi del ricco libretto illustrato che accompagna il CD. Poter seguire il testo originale greco (seppur adattato alla lingua moderna) è pur sempre una forma di rispetto da parte di una cultura globalizzata, sempre più incurante delle piccole dimostrazioni d’amore.
2002 © altremusiche.it
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