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Quanta musica orchestrale riesce a manifestarsi facendo dimenticare il volto che quell’organico tradizionalmente esprime? Quanta musica contemporanea sa proporsi come una suggestiva idea di viaggio? Quanti autori possono dirsi davvero rappresentativi della realtà in cui hanno vissuto; quella, per intendersi, non segregata all’interno in minoritarie torri eburnee, ma condivisa con imbarazzanti convivenze nel “cuore della bestia”? Di Romitelli ne abbiamo sempre detto bene, perché altro non ci viene da dire. Nella sua purtroppo breve carriera è riuscito a dar rappresentazione della modernità, quella anche di una piccola provincia dell’Impero, nella quale il vincolarsi ai consueti modelli del passato (recente o remoto) continua ad essere la via più breve e percorribile. Romitelli è invece riuscito a fermare un istante nel vortice del presente, lasciando un segno nell’attuale dedalo della musica contemporanea: il suo graffito si staglia in modo inconfondibile nell’orizzonte periferico urbano e, con ogni probabilità, rimarrà sotto i nostri occhi ancora per molto tempo ancora.
Soprattutto nelle sue ultime opere il senso di un musica che sa rendersi magma aggrovigliato e massa in divenire riesce a soddisfare quelli di noi che credono ancora in un’idea di spazio sonoro come viaggio dell’anima. Un viaggio che non ci trasporta nei pascoli rapsodici di un mondo di plastica postmoderna o nel rimpianto mistico dell’età dell’oro, ma tra i rottami della modernità guardata da mille anfratti spettrali o rumorosi. Come in Dead City Radio. Audiodrome per orchestra (2003), le cui tinte sintetiche trascolorano un mondo di reti che connettono, ma anche legano, spiano, rendono dipendenti e onde elettromagnetiche che ci offrono una sponda verso un mondo a cui attribuiamo valore di realtà. La composizione, che forse è uno dei capolavori di Romitelli, si apre con un lento disegno orchestrale che cita Richard Strauss e si conclude sul feedback rumoroso di un amplificatore da cui esce un quasi strozzato “You are lost” (il rottame della modernità che chiude senza riguardi il sipario). La lavorazione del suono tra l’autore di Also sprach Zarathustra e l’avvertimento finale riflette il mondo metabolizzato da Romitelli, fatto di rock, musica colta, techno e disturbi rumoristici, panorami tecnologici e claustrofobiche camere sonore. Accanto all’eccitante Audiodrome, EnTrance, Flowing down too slow e The Namless City sono invece frutto di un più tenue atteggiamento di scoperta del nuovo e dell’inesplorato o, se si vuole, di una più stretta osservanza spettrale cara a quei francesi come Gérard Grisey e Tristan Murail divenuti modelli per molte giovani generazioni europee.
2007 © altremusiche.it
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