- 16 film per capire l’Africa (2 per non capirla) - Dicembre 9, 2024
- Alla ricerca dell’egemonia culturale perduta: da Claudio Villa a Luigi Nono - Giugno 28, 2024
- AUTOBAHN 9: «Verso i Mari del Sud» - Maggio 7, 2022
Una batteria che attacca secca e scandita alla maniera che ci aveva fatto apprezzare, dopo le impensabili scomposizioni prog/zappiane di anni addietro, un batterista impulsivo e materico come Charles Hayward. Attorno scorie e saturazioni di circuiti messi in corto e una chitarra che si mimetizza all’interno del disturbo sonoro. A tratti un basso riporta tutti all’ordine per guidare una danza funky allucinata, appoggiata sopra qualche slogan comiziale. Sembrano tanti, in realtà dietro al progetto Foodsoon sono solo tre: il già noto Bernard Falaise (chitarre, basso e tastiere), un vero e proprio jolly della musica out canadese (tanto per dirne alcuni Miriodor e Klaxon Gueule), Alexander Macsween (batteria, tastiere e voce) e Fabrizio Gilardino (nastri preparati, elettronica e voce). Di quest’ultimo qualcuno ricorderà le sue corrispondenze eterodosse dal Canada per conto della rivista “musiche”.
L’idea di fondo che muove l’estetica Foodsoon è quello di integrare certe spigolosità elettroniche molto devote alla distorsione e alla ruvidità, con la quadratura di ritmiche post-punk, che fanno assumere al lavoro una fisicità che invece gruppi come i cugini Klaxon Gueule nelle loro ultime produzioni mettono decisamente da parte. Il vantaggio è che si può vivere una musica come questa, stratificata e ricca di sfumature sonore, subito, nell’immediato, senza mediazioni, anche ballandola, lo svantaggio è che, come tutte le cose troppo quadrate si corre il rischio di consumarle in fretta.
2005 © altremusiche.it
Lascia un commento