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Un atto costitutivo della musica che parte dall’interno del suono per determinare cellule che autogenerandosi arrivano alle grandi forme, ai tempi estesi, alle grandi masse sonore che si muovono a partire dall’espansione spettrale. Le Temps et l’Écume, composizione per orchestra da camera, 4 percussionisti e 2 sintetizzatori (1988-89), segue non di molti anni il progetto cosmologico di Les Espaces Acoustiques, rimarcando in prospettiva nuovamente universalistica l’idea della musica, linguaggio acustico compreso da prospettive scientifiche, ma proiettato dal suo microcosmo sonoro costruito su ventagli di spettri che si moltiplicano per dare il senso di una realtà resa tale da un respiro cosmico.
“La mia ricerca chiamata, a torto o a ragione, spettrale è motivata dalla impossibilità di comporre un tempo dilatato senza ampliare a sua volta il campo armonico (l’accordo diventa spettro) e la profondità di questo campo (la sua altezza non è più colorata dallo strumento, è lo strumento immaginario, lo spettro strumento, che rende l’altezza necessaria e fissa a sua volta sia il colore e il ruolo nella scala delle dinamiche)”. E l’immagine di un viaggio attraverso le fluidità di un Oceano (o di un cielo abitato da insetti) ci viene quasi suggerita dallo stesso Grisey in analogia alle ben più immediate suggestioni del maestro Messiaen, grande amante di ornitologia e dei suoi canti.
“Le Temps et l’Écume naviga all’interno della musica delle balene, quella degli uomini e quella degli insetti. Lo stesso gesto (ritmo-rumore / suono-spettro) è passato al vaglio di questi tempi relativi e li allontana l’uno dall’altro a tal punto che una cellula di un secondo può divenire processo formale che copre quasi l’intera durata dell’opera. Qualsiasi combinatoria tra questi tempi è possibile, ma resta dubbio circa la percezione che può avere”. Una percezione messa in discussione da Grisey nella sua critica alla serialità a partire dal “punto di arrivo” di Gruppen di Stockhausen. Ecco che allora il processo apparentemente si “semplifica”, il linguaggio si libera di pesanti sovrastrutture e la musica riesce a sopravvivere senza negarsi.
Nel rapporto tra dodici voci (e nastro magnetico) vivono altre dialettiche affatto dissimili da molti sentieri percorsi da Berio prima e Nono poi. Les Chants de l’Amour (1982-84) che raccoglie fonemi, nomi di amanti celebri, frasi d’amore pronunciate in 22 lingue diverse, più alcuni estratti da Julio Cortàzar, sembrano un sensuale (e inusuale) omaggio ad un tema non molto trattato dalla fredda avanguardia.
“Pourquoi des chants d’amour? Je n’ai pas su répondre, est un genre difficile, il est encore plus difficile d’en parler…”.
Lasciamo da parte fredde analisi spettrali e godiamoci nell’abisso di sogni di questi fantasmatici canti d’amore.
2008 © altremusiche.it
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