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Il rintocco di uno sventolante cluster arpeggiato che si muove aleggiando e dissolvendosi nell’aria, cambiando perfino tonalità con uno sfuggente salto di sesta è un gesto semplice e naturale, uno di quelli che ci fa amare la musica di Grisey in quanto immediatamente intelligibile, trasparente nella sua complessità formale, sebbene parte di ricchissimme cristallizzazioni sonore – quelle stesse che hanno richiamato l’attenzione del mondo contemporaneo attorno all’etichetta di musica spettrale. Stiamo ascoltando il primo interludio di Vortex Temporum, opera che risale al biennio 1994-96 scritta per pianoforte e cinque strumenti. L’immagine del vortice dei tempi si tinge di queste note che si attorcigliano su loro stesse e si dipanano su altezze che si urtano nello stridere di un pianoforte a cui quattro corde acute stato manomesse nel proprio temperamento. Le dediche ai tre diversi tempi spettano a Gérard Zinsstag, Salvatore Sciarrino e Helmut Lachenmann, ma gli umori sono molto differenti e se non fosse quasi vietato useremmo la parola leggeri.
Che l’organizzazione venga regolata in base a complesse proporzioni (Fibonacci, algoritmi o altri tecnicismi) poco importa, l’ordine c’è, se non si vede e Grisey era un musicista che si vantava di usare i suoni come materia prima, così come il matematico i numeri, il poeta le parole. Ed è proprio l’impasto generale dei suoni, la loro reiterazione ipnotica, il loro sgranarsi nel tempo assumendo via via forme che si affastellano le une accanto alle altre in modo mai violento o forzato, che rende ogni opera del francese così fascinosa (e leggera).
Così pure Périodes (1974), parte di Les Espaces Acoustiques (un ciclo composito di cui qui si è già parlato), che fonda la nascita di una nuova direzione nella Nuova Musica europea, una direzione a cui non è estraneo il mondo sonoro di un compositore come Giacinto Scelsi, così come un nuovo modo di intendere la musica in quanto scienza dell’ascolto.
2007 © altremusiche.it
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