Giampiero Bigazzi, un Marco Polo tra Cina e Japan

Foto: Marco Betti
Michele Coralli

Il cammino di Marco Polo è tortuoso. Non ha fretta e strada facendo i mercanti comprano e vendono. Questo spiega perché è tanto difficile ricostruire il loro percorso il linea retta.

Il progetto Marco Polo di Nicola Alesini e Pier Luigi Andreoni, ideato e prodotto da Giampiero Bigazzi per Materiali Sonori, giunge alla sua seconda tappa – il primo volume era uscito nel 1995 ancora lungo itinerari che si disperdono quasi casualmente in un territorio alquanto variegato. Bigazzi ci guida in queste terre musicali.

La musica è di per sé un viaggio, un percorso. Perché accostarle il nome di un grande viaggiatore come Marco Polo?

«La musica di Alesini e Andreoni è perfetta come colonna sonora di un percorso alla scoperta di culture nuove, ma anche alla scoperta di noi stessi, della nostra libertà, della tolleranza verso gli altri. Marco Polo per me è il simbolo di tutto questo. Ho conosciuto il libro di Victor Sklovskij (Marco Polo, Il Saggiatore 1972, ndr) ormai introvabile in Italia, un saggio fuori dal comune, molto attuale, ma la scintilla che mi ha convinto a proporre un lavoro dedicato a Marco Polo, è nata dopo che la storica inglese Frances Wood nel 1994 affermò che il viaggiatore veneziano si era inventato tutto, un po’ come Salgari, che in Cina non c’era mai stato e che al massimo poteva essersi fermato a Costantinopoli. E ha presentato tale presunta impostura come uno scandalo. Ma io mi sono detto che, se questo uomo del Medio Evo fosse riuscito a immaginarsi e a raccontare tutto quello che è contenuto nel Milione senza averlo visto, era davvero un fatto straordinario. E se quella di Polo è una finzione, la musica è l’arte più adatta a raccontarne lo spirito».

Il secondo volume come è nato?

«Alesini & Andreoni hanno prodotto un volume enorme di materiale. Sono molto prolifici e il livello è sempre alto. Ma per completare il Marco Polo Volume II abbiamo coinvolto altri musicisti, soprattutto Steve Jansen e Richard Barbieri. Abbiamo cominciato a creare una specie di reunion dei Japan, che potrebbe completarsi con la presenza di Mick Carn nel terzo volume. A me piace fare dei dischi come dei libri, con una storia da raccontare. Per noi questo progetto su Marco Polo è la materializzazione della nostra idea della musica come viaggio, geografico e interiore, come grande forza di comunicazione e di lavoro collettivo».

E l’idea del terzo capitolo?

«Mi affascina l’idea del ritorno di Marco Polo alla vita di tutti i giorni, di lui che muore con i suoi ricordi, dei problemi che il suo racconto, vero o inventato, pone alla cultura del suo tempo. Mi ci vorranno, comunque, almeno altri due anni prima di completare il progetto».

Quanto ha influito la tecnologia digitale sul lavoro e quanto i campionamenti? Ovvero quale dei due mezzi crea un maggior senso di spazialità e quale è maggiormente evocativo di terre lontane?

«Abbiamo usato molti campioni. E’ vero che questo può permettere di superare le distanze. La nostra filosofia è comunque quella di non far prevalere l’elettronica. Mi piace ‘essere di confine’ anche in questo, mescolare cioè l’acustico e il gesto del musicista con le ormai infinite possibilità computer. Ovviamente i sistemi di registrazione digitale ci hanno aiutato, così come Internet. Molti strumenti di registrazione permettono di lavorare a costi relativamente bassi in posti diversi del pianeta,come in un viaggio, appunto. Mi sono molto identificato in Marco Polo».

La partecipazione di molti musicisti stranieri, come Roger Eno, il cui contributo consta anche di un brano composto e interpretato da lui stesso (I giovani cantori di San Giovanni d’Acri, dal sapore quasi devozionale) e ancora David Torn, Harold Budd, contribuisce a creare quel senso itinerante che sta alla base del progetto?

«Il rapporto con i musicisti che abbiamo coinvolto è stato molto positivo. Tutti si sono lasciati coinvolgere con entusiasmo. Lo stesso Sylvian ha introdotto l’idea del viaggio interiore e ci ha proposto testi e melodie; poi abbiamo lavorato insieme agli arrangiamenti. Roger Eno ha composto molto del materiale di questo cd e il suo contributo è stato fondamentale, la sua calda voce una sorpresa per tutti».

La traccia CD-Rom è un esperimento o un supporto all’idea del viaggio “casuale”, visto che, come spesso avviene nei supporti multimediali, non si segue un itinerario rettilineo?

«L’idea della traccia Rom è di Pier Luigi Andreoni, che sta diventando ormai un tecnico multimediale di alto livello. Abbiamo ricreato il viaggio con una antica mappa della Cina, inventando elementi interattivi con delle funzioni che spesso cambiano. E’ comunque un gioco. L’altro aspetto interessante è la sua colonna sonora, con versioni alternative e altri missaggi rispetto alle musiche contenute nei due volumi; è in fondo quasi un altro disco».

da: “il Giornale della Musica”, n.142, 1998 © altremusiche.it / Michele Coralli

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