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Il Bergamo Jazz 2002 si conclude con una serata all’insegna del jazz italiano e delle sue ramificazioni europee. Giunto alla sua ventiquattresima edizione la rassegna è da tempo punto di riferimento soprattutto per la sempre ricca presenza dei musicisti nostrani che si mettono a confronto con le diverse tendenze del jazz odierno. Il triplice set del 3 marzo alterna sul palco il duo Petrella/Girotto, il trio Bollani e la Big Band WDR di Radio Colonia diretta da Gianluigi Trovesi, in un graduale accumulo di massa sonora ben percepibile all’interno della lunga serata.
Javier Girotto e Gianluca Petrella (miglior nuovi talenti italiani nel “Top Jazz 2001”) offrono un’esibizione che trova uno stimolante equilibrio tra impeto sperimentale e feeling, tanto da entrare a pieno titolo in quella corrente post-free che definirei avanguardia espressiva. Gli excursus timbrici e le trovate formali (che non disdegnano anche ricorsi a dei ben equilibrati trattamenti elettronici dei sempre più diffusi sampler) sanno catturare l’ascoltatore per oltre tre quarti d’ora di esibizione senza che quella sensazione di già sentito riesca a far capolino alle nostre orecchie. La scuola di un certo Brötzmann ha lasciato tracce evidenti soprattutto in Girotto che si alterna tra baritono e soprano (nonché in vari flauti andini), dando varietà al suono del duo, mentre Petrella esplora sul trombone canovacci dalla notevole ricchezza timbrica ed espressiva.
Segue il pianista Stefano Bollani, che assieme a Larry Grenadier al basso e al batterista Jeff Ballard, si presenta con un trio che spesso indulge a qualche manierismo di troppo (ci troviamo di fronte all’organico, quello del trio tipicamente jazzistico, che probabilmente è il più arroccato sulle posizioni più tradizionali). Bollani è comunque un ottimo pianista con buoni slanci compositivi e una propria koinè che lo spinge a cercare nei cantautori nostrani come Tenco o Gianni Morandi i materiali per la costruzione di apprezzati standard. Meglio comunque i brani originali, bozzettistici e non privi di umorismo e leggerezza brasiliana.
Alle undici di sera l’appuntamento più atteso: la Big Band WDR della radio e televisione regionale di Colonia. Ospiti di riguardo della performance (e del disco appena prodotto da Enja “Dedalo”) Markus Stokhausen e Fulvio Maras. Viene presentato materiale composto da Gianluigi Trovesi, che per l’occasione diventa direttore (ma già si era cimentato nella cosa con l’anarchica Italian Instabile Orchestra), all’occorrenza solista al sax alto, ai clarinetti alto e basso. Il più noto jazzista bergamasco della scena internazionale ha ben assimilato un’assai disparata serie di stili jazzistici e non (musica popolare, musica bandistica, tango ecc.) tale da poter essere ricontestulizzata all’interno del prosperoso contesto della Big Band. I riferimenti, le citazioni stilistiche, gli ammiccamenti riescono sempre a essere evocativi senza marcarsi dell’ormai abusatissima virtù citazionista che ha contaminato come un virus ogni ambito creativo. Non è lo stile della banda di paese (Trovesi è attaccatissimo alla vita culturale della sua Val Seriana), bensì l’idea trasfigurata della banda che viene tratteggiata nelle sue composizioni. Lo stesso vale anche per gli altri referenti come il mainstream, l’hot jazz, il free, l’improvvisazione creativa che si affacciano tra le pieghe delle partiture di Trovesi.
Due parole sull’orchestra tedesca davvero in grande spolvero con un affiatamento davvero invidiabile. In ottima evidenza il pianista Frank Chastenier dal piglio espressionista e Paul Shigihara, chitarrista che sa essere arcigno e quasi metallico (cosa che non guasta in una big band di impianto tradizionale). Altri elementi “guastatori” come Stockhausen (che si cimenta in assolo perfettamente amalgamati, a volte disturbati da “discrete” manipolazioni elettroniche) e Fulvio Maras che nascosto dall’orchestra produce suoni atti a disorientare e a creare scompiglio nell’ampio ensemble. Sarà bene ricordarci di esibizioni come queste quando si pensa alla musica creativa italiana come un flaccido rimasuglio di tendenze mainstream con poche idee. Gli ambiti nostrani che chiamiamo ancora jazz si stanno consolidando come una realtà sviluppata su scala continentale. Forse l’Italia è giunta in ritardo sulla scena creativa europea, ma finalmente ci siamo. Non perdiamo l’occasione di farlo notare.
maggio 2002 © altremusiche.it
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