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Un’esplorazione capillare delle possibilità dinamiche della tastiera, un viaggio nei confini dell’atonalità di un compositore la cui opera sta vivendo una attenta fase di riscoperta. La musica del magiaro György Ligeti trae linfa dalla produzione pianistica bartokiana e dalle spinte innovative della neoavanguardia di Colonia e Darmstadt. Da quel mondo si alimenta creando sintesi da due autorevoli esperienze musicali della tradizione occidentale del Novecento. Le Études per pianoforte plasmano sonorità che affondano le proprie radici nelle sperimentazioni del Béla Bartók della Sonata per due pianoforti e dell’Allegro barbaro, in analogia con il coevo Kurtág. Ecco nelle parole del compositore, la natura interiore della raccolta pianistica, concepita in due libri che racchiudono una serie di brani composti tra il 1985 e il 1997: “i miei studi per piano non sono jazz, né Chopin e nemeno Debussy e Nancarrow, e ancor meno costruzioni di tipo matematico. Sono pezzi virtuosistici per pianoforte, ossia studi nel senso pianistico del termine, nonché in quello compositivo”. Pur prendendo le distanze da quella tradizione pianistica, Ligeti si inserisce nella sua più avanzata propaggine novecentesca col piglio del grande compositore.
da: “Amadeus”, n.140, 2001. © Paragon / Michele Coralli
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