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L’incontro tra Parker e Bennink risale ai tempi in cui, da una sponda all’altra della Manica, i due amministravano Incus e Instant Composers Pool, il primo a Londra, il secondo nei Paesi Bassi. La prima uscita Incus (una delle prime etichette radicali e indipendenti) porta appunto i nomi di Bennink, Parker e Derek Bailey (“Topography of the Lungs”) e risale al 1970. Di acqua ne è passata sotto i rispettivi ponti, ma per musicisti i cui movimenti non sono determinati da invasive direzioni marketing, il ritrovarsi è una cosa realizzabile in maniera spontanea. Quando poi un progetto si fonda su delle instant compositions più si assecondano le proprie capacità di interlocuzione “naturale”, più l’esito potrà dirsi riuscito. E questo “Grass is greener” si può davvero annoverare tra i dischi davvero riusciti. Non sembra mancare nulla e la sola presenza di sax e batteria non limita affatto gli orizzonti sonori dei due, che possono contare su tavolozze stracolme di colori.
L’intesa (e non sono parole di circostanza) è davvero palpabile, in un continuo gioco di feedback e rimandi, facilmente percepibili all’ascoltatore attento. Se Bennink è partner ideale per Parker, allora Parker è partner ideale per Bennink. La costruzione istantanea (cioè non pianificata) è talmente ineccepibile da sembrare precedentemente preventivata o, in certi momenti, addirittura scritta. Parti in cui Parker “slappa” o crea suoni parassiti sono recepite da Bennink in maniera istantanea, e l’olandese riesce a recepire l’immediato stimolo per la risposta ritmica, ma anche timbrica. Siamo fuori dal tempo, fuori dalle correnti, o meglio dalle paludi di certo jazz (ormai anche certo free appare stagnante) e proprio per questo ci vale considerare questo “Grass is greener” come un capolavoro della musica improvvisata. Un punto d’arrivo o una ripartenza?
2002 © altremusiche.it
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