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Xenakis il matematico, l’artifex di paesaggi sonori costruiti secondo proporzioni e armonie numeriche, ha fatto dell’elettronica uno dei crocevia fondamentali della musica del Novecento. A lui (e a una manciata di altri) si devono musiche che una quarantina di anni fa hanno dischiuso una delle dimensioni più suggestive nella prospettiva della musica moderna: la spazialità. In parole povere come una musica possa vivere nel momento in cui viene eseguita lo decide non solamente la fonte da cui promana, ma anche la dimensione spaziale in cui essa viene immersa, o meglio che essa riempie, trasformando completamente l’esperienza di un determinato spazio.
Hibiki Hana Ma (1968-70) è una composizione commissionata a Xenakis da Toru Takemitsu per l’Expo di Osaka del 1970, una di quelle futili dimostrazioni di distruzione del pianeta che l’uomo periodicamente porta avanti per non si sa quali nobili scopi, dato che tutto quanto costruito viene regolarmente distrutto per far posto ad altro. In quella circostanza alcuni edifici sembravano poter indicare una direzione definitiva su come concepire degli spazi per l’esecuzione della musica moderna (elettronica in particolare): la più nota Spherical Concert Hall, voluta da Karlheinz Stockhausen per il padiglione tedesco, e la Tekko-Kan per il padiglione della Federazione delle Compagnie del ferro e dell’acciaio in cui viene allestito un sistema per la diffusione del suono a partire da più di 800 altoparlanti sparpagliati tra il pavimento e il soffitto della sala sono i luoghi più intriganti sotto questo profilo. La progettazione della composizione che doveva assecondare uno strumento così complesso di diffusione del suono come la Tekko-Kan è coincisa quindi con la grande sfida che il greco si è posto. Ovviamente non in modo estemporaneo, bensì secondo logiche matematiche che davano continuità al processo sonoro in una dimensione così articolata. Il dato che stimola l’ascolto domestico è simile a ciò che rimane dell’Expo di Osaka. Là dove sorgevano le meraviglie che dovevano prefigurare un futuro propizio (“Progresso e armonia dell’umanità”, questo il titolo di quell’Expo), sorge ora un parco, bello, ma sradicato da un contesto urbano che attorno è cresciuto a dismisura. E anche la musica elettronica di Xenakis, perduta quella localizzazione, ha ovviamente assunto la mera funzione di testimonianza. Per quanto stupenda nel suo volgersi dialettico di manipolazioni sonore (loop, campioni orchestrali, rumorismo e pura sintesi) induce quasi a un senso di incompletezza per un mondo passato troppo in fretta.
Ugualmente affascinante in questo senso anche la successiva opera Polytope de Cluny (1972-74) scritta su commissione del Festival d’autunno di Parigi e basata su un’interazione tra suoni, proiezioni di laser e pubblico, il quale muovendosi o stando fermo finisce per interagire con le microdinamiche della composizione multimediale. Il senso sonoro legato a un continuum in lenta ma inesorabile trasformazione si riaggancia perfettamente a Hibiki Hana Ma e ovviamente alla Polytope scritta per la prima istallazione di Montreal nel 1967. Affascina questa musica, così rigidamente legata all’aspetto spaziale, ma al tempo stesso quasi arcaica nei toni cavernosi e nella persistenza timbrica di suoni percussivi senza figurazione, i quali come semplici aggregati timbrici vengono lasciati muovere in un loop per poi venire bypassati da onde successive. Il senso del divenire e quello dell spazio nell’elettronica di Xenakis non hanno forse pari e sembrano spingere al dubbio che la modernità sia davvero quella che viviamo oggi…
2008 © altremusiche.it
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