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Ci sono compositori che vale la pena ascoltare, altri che è utile approfondire per cercare saperne di più, ce ne sono infine altri ancora su cui è assolutamente indispensabile leggere ciò che hanno lasciato attorno alla propria musica, per trovare una chiave di lettura capace di creare un varco nell’interpretazione di un’estetica artistica che trova punti di contatto con la scienza e che, anche per questo motivo, non si rende facilmente fruibile e assimilabile. Iannis Xenakis fa sicuramente parte di questa cerchia di compositori “da torre eburnea” che hanno contraddistinto, nel bene e nel male, una buona metà del secolo appena concluso.
Al posto di considerare, secondo lo stereotipo in auge, l’estrema concettualizzazione di gran parte della musica contemporanea (per non dire il puro determinismo) come uno dei fattori che hanno allontanato legioni di innocenti fruitori, cerchiamo di spostare il tiro per capire, oggi, cosa cercavano compositori come Xenakis (ma lo stesso varrebbe per Boulez o Stockhausen) quando sperimentavano nuove forme di creazione a partire dalla dissoluzione della serialità post-weberniana.
Ebbene Xenakis crede di poter superare la serialità attraverso la determinazione del calcolo combinatorio, che determina un controllo da parte del compositore sui parametri, piuttosto che sugli esiti. La metodologia stocastica diventa prassi scientifica al servizio dell’arte e questo segna un importante e dignitoso traguardo per un compositore, che ha posto in essere un universo estetico capace di vivere in un secolo che ha conservato molto, ma ha dimenticato anche parecchio.
Ecco allora che tra i saggi più significativi troviamo quelli che si riferiscono proprio alla concezione della musica di Xenakis e alla sua realizzazione, ovvero: Procedimenti probabilistici di composizione (1962), Universi del suono (1977), Nuove proposte sulla microstruttura dei suoni (1977) e Problematiche tecnologiche della composizione (1980). Ma ci sono anche altre pagine che danno un significativo spaccato dell’artista, in particolare nei suoi rapporti con le altre correnti del Novecento. Su John Cage, Il diluvio dei suoni (in occasione della morte di Varèse).
Che dire? Indubbiamente un certo tarlo matematico può anche infastidire, ma non si può non considerare come assolutamente illuminanti certe prese di posizione come quelle espresse in Cinque risposte sulla “nuova musica”:
C’è una categoria di compositori che ha scritto musica seriale, e per questa ragione, certo, ora si trova in una fase post-seriale. Però ci sono altri che sono rimasti estranei a quel movimento e non hanno mai scritto musica seriale, e che pertanto non si trovano in una fase post-seriale. È il mio caso, ma anche quello di altri che hanno seguito un cammino simile al mio.
La musica, l’arte in genere, è un ambiente che muta le persone, e dunque muta anche la società e la politica. Però l’utilizzazione dell’arte come mezzo di cambiamento – un’idea che tutte le forme storiche di governo prima o poi hanno fatto loro – è del tutto futile.
A rendere la raccolta un utile strumento di consultazione una bibliografia, un elenco delle composizioni e una discografia aggiornata al 2000. Un ottimo primo approccio per capire un grande della Nuova Musica.
2003 © altremusiche.it
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