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Sfuggire il tempo per sfuggire l’orrore del presente, è questo il pensiero di un prigioniero di guerra rinchiuso nel campo di internamento Stalag VIII-A di Görlitz. Quel prigioniero si chiama Olivier Messiaen ed è stato catturato assieme a 30.000 suoi connazionali durante l’invasione della Francia da parte della Germania nazista nella primavera del 1940. Nell’ottobre dello stesso anno il compositore francese, già attivo organista e insegnante, prima della chiamata alle armi, presso l’École Normale de Musique di Parigi, inizia a comporre un brano per quattro strumenti. Pochi giorni dopo l’opera è conclusa ed eseguita con il sostegno del responsabile del campo nel disadorno spazio dello Stalag. Un violino, un violoncello privo di una corda e un clarinetto, messi nelle mani di altri tre prigionieri francesi (musicisti semidilettanti), con un pianoforte male in arnese suonato dallo stesso Messiaen, costituiscono l’organico di Quatuor pour la fin du Temps.
Otto movimenti con diversi abbinamenti strumentali (quartetto, clarinetto solo, trio senza pianoforte, pianoforte e violoncello, pianoforte e violino) vengono accompagnati da precise didascalie scritte dall’autore con l’intento di fissare in modo preciso un percorso denso di significati e rimandi mistici. L’intera opera risuona di colori diafani e atmosfere livide, che, pur non volendo dare rappresentazione dell’ambiente in cui tali suoni sono stati ideati, rimandano inevitabilmente all’immaginario in bianco e nero di certi film di repertorio girati dalle truppe di liberazione. Ma forse è proprio per questo che il messaggio artistico di Messiaen è incredibilmente inedito e anticipatore di un linguaggio che trascende o percorre in maniera parallela quell’avanguardia sostenuta fin dalla costituzione del gruppo della Jeune France.
L’utilizzo di schemi modali non derivativi smarca opere come questa da modelli neoclassicisti, come da quelli di stretta osservanza dodecafonica. Il percorso armonico è infatti inquadrato nella grande libertà melodica nella quale può capitare che certi profili malinconicamente chiusi in se stessi (come nel profondo terzo movimento per clarinetto) sembrino improvvisamente aprirsi a vivaci onomatopee che, rimandando al vitale mondo degli uccelli, squarciano il velo di tristezza con un flebile senso di speranza (Messiaen, appassionato ornitologo, non può non osservarli mentre incolumi superano il filo spinato).
In questa prospettiva non poteva mancare anche uno Scherzo, il vivace e solare trio di Intermède che, sebbene molto breve, respira serenità a pieni polmoni per poco più di un minuto e mezzo, chiudendo in modo quasi ironico e brillante. Ma tutto il Quatuor è un’opera dialettica in cui riescono a fondersi esuberanza strumentale e intimismo mistico e sospeso. Proverbiali in questo senso il sesto movimento (Danse de la fureur, pour les sept trompettes), denso di contrasti dinamici e il settimo (Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui announce la fin du Temps), un vortice magmatico giustapposto al senso escatologico dell’annunciazione e rappresentato da un placido duetto violino e pianoforte. La libertà per Messiaen ha significato in questo senso la creazione di un’opera disegnata su un complessivo profilo direzionale che volge lo sguardo dell’uomo, non tanto al salto del filo spinato, bensì al raggiungimento dell’Eternità attraverso la fine del suo Tempo.
2008 © Festival Dino Ciani / Michele Coralli
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