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In un libro del genere è più facile trovare limiti, lacune, dimenticanze e giudizi di merito che abbracciano l’ambito della partecipata militanza di ascoltatore, piuttosto che individuarne i meriti oggettivi, al di là dell’evidente utilità di un manuale che finalmente tratta la musica contemporanea del ‘900 in tutta la sua interezza, a partire da Debussy per finire con Ferneyhough o Tutino. Vista l’assenza di opere del genere la lettura è assolutamente consigliata, sen non altro per poter mettere in una giusta prospettiva storica esperienze, probabilmente condivise sul campo dalla maggioranza di noi, ma ancora non ordinate nell’inevitabile storicismo musicologico. In diverse riviste si tentano approcci biografici ai più o meno noti personaggi del secolo scorso, uno dei più ricchi, ipertrofici e difficilmente archiviabili della storia della musica e delle arti, ma spesso si finisce per avere delle visioni raramente d’insieme, quasi sempre parziali.
La musica del XX secolo (Le opere, i compositori, le tecniche, i linguaggi, gli scritti, la critica, le tendenze) di Jean-Noël von der Wied (uscito per la prima volta in Francia nel 1997) è innanzitutto un’opera di raccordo, utile a mettere insieme fili slegati e a trovare nuovi rivoli a cui attingere. Pur non adottando un tono eccessivamente didascalico l’opera mette a disposizione, capito per capitolo, glossari, note e rimandi storici, utili a rendere l’approccio assolutamente divulgativo. Anche il linguaggio non eccede in tecnicismi, noiosi e fuori luogo in un’opera di inquadramento come questa.
Ma per non essere da meno, mettiamo in risalto anche qualcosa di negativo: prima di tutto un certo approccio “ideologico” che determina, da una parte un leggerissimo sciovinismo alla francese (Debussy-centrico), dall’altra l’atteggiamento assolutamente negativo nei confronti di certe esperienze neotonali o post-minimaliste, verso cui, visto il taglio enciclopedico dell’opera, ci si sarebbe potuto aspettare una maggiore attenzione (e non sto parlando di apprezzamento):
“È strano osservare come l’uomo, che oggi più che mai abita il dolore, in un mondo in agonia, anestetizzi i suoi sogni e si rifugi nell’offensivo lasciarsi-andare estetico dei vari Arvo Pärt o John Adams o Aaron Jay Kernis…”
Francamente, per quanto possa essere condivisibile un certo “lasciarsi-andare”, un giudizio di merito del genere lo trovo un po’ troppo fosco e pedante, oltre che reticente, dal momento che occuparsi di questi autori in modo serio e distaccato avrebbe potuto essere una scelta “di stile”. Cosa che invece non avviene dal momento che di autori come Pärt o Glass non se ne parla affatto e francamente sembra quasi incredibile se si pensa allo stesso spazio offerto a una scena milanese degli anni ’80 e ’90, caratterizzata da compositori come Einaudi, Tutino e Ferrero. Ma del resto, come avevamo detto all’inizio, è fin troppo facile trovare incongruenze in libri come questo.
Ps: imperdonabile invece la quantità di refusi presenti nel libro (alla LIM si consiglia l’assunzione di qualche correttore di bozze per qualche riscontro in più).
2003 © altremusiche.it
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