John Butcher: “Cavern with Nightlife”

Foto: Garrard Martin
Michele Coralli
John Butcher: “Cavern with Nightlife” (Weight of Wax, WOW01, 2004)

“Cavern with Nightlife” è un lavoro che attesta un importante traguardo per il sassofonista inglese John Butcher. Prima di tutto perché con questo si inaugura l’etichetta Weight of Wax di proprietà del sassofonista inglese, secondariamente perché si tratta di una doppia performance live che devia dal consueto tracciato improvvisativi a cui Butcher ci ha da tempo abituato in molte delle sue composizioni non pianificate.

La prima cattura un set registrato al giapponese Oya Stone Museum di Utsunomiya in uno spazio espositivo ricavato da una miniera scavata dentro a una montagna di lava soffice che si trova 60 metri sotto il livello del suolo, con una temperatura di 8 gradi centigradi. Lo spazio straordinariamente ampio è di circa 20.000 metri quadri e, ci assicurano, gode di straordinarie qualità acustiche e atmosfere suggestive. È per questo motivo, secondo quanto ci ha detto direttamente Butcher, che il luogo, in concomitanza con la distanza tra pubblico e performer, ha determinato un taglio marcatamente comunicativo nelle quattro improvvisazioni per sax tenore e soprano: molto orientato cioè allo sfruttamento dei riverberi sulle ricerche timbriche dello strumento. Ne escono brani che indugiano su lunghi pedali, con note tenute con grande dispendio di respirazioni circolari e notevole atmosfera “ambientale”: dal puntillismo di Ashfall, alla potenza brötzmaniana di Ideoplast.

Segue Practical Luxury, una performance assieme a Toshimaru Nakamura che manipola un mixer senza input, con Butcher al tenore, in questo caso acustico, amplificato e manipolato attraverso feedback (esperienze, quelle legate alle differenti amplificazioni, contenute in “Invisibile Ear” di Fringes). L’improvvisazione è stata anch’essa catturata in Giappone al SuperDeluxe, locale-galleria-teatro di Roppongi, Tokio nel 2002. In questo caso si tocca il più radicale azzeramento di parametri per giungere a una tabula rasa da non ritorno, in netta contrapposizione con i precedenti brani. Onde sonore dalle frequenze al limite dell’udibile in quello che secondo la tecnologia digitale viene assimilato all’errore sfruttato in termini creativi. Pur non appartenendo al mondo dell’elettronica tout-court, l’estetica è così contigua da potersi configurare come figlia di una generazione che la musica elettronica l’ha completamente assimilata. Il meccanismo è inverso rispetto a quello di molti malati di laptop: lì macchine e sofware per paracadutarsi, qui circuiti, microfoni e strumenti per lanciarsi in un volo libero.

2005 © altremusiche.it

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