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“Le biografie sono i migliori lasciti per gli storici, i balletti per i visionari.” Con questa laconica dichiarazione John Cale chiarisce il motivo della dedica a Nico di un’opera coregrafica concepita assieme a Ed Wubbe sulla spinta della ricerca di una nostalgia visionaria che contempla il ricordo della bella modella e chanteuse dei Vevet Underground, morta qualche anno fa. Nel balletto Nico predominano invece una malcelata malinconia e tanto sentimentalismo, evidente nell’utilizzo di tracce vocali e di un brano della cantante tedesca (Nibelunngen) che conclude il lavoro.
L’ensemble Ice Nine, dalla natura fortemente contaminata, produce sonorità più orientate verso il rock di quanto si possa pensare. L’utilizzo di batteria, chitarra e sintetizzatore, nonostante un sestetto d’archi, diventa l’ancora di salvezza di un compositore che, per quanto si cimenti in esperienze “colte”, rimane indissolubilmente legato ad un mondo, quello della Factory di Andy Warhol e alle iconografie delle Marilyn Monroe e delle Campbell’s Soup Cans, che non esiste più, anche se i prodotti da questo creato vengono riciclati nell’immortale gusto minimalista.
A contaminazioni tra pop e musica classica Cale ci aveva già abituato in dischi come Paris 1919, mentre, d’altro canto, rapporti con musicisti come Terry Riley o La Monte Young sono stati senza dubbio molto importanti per la crescita musicale e culturale di John Cale. Ma ora l’artista segna il passo. Minimalismo e ripetitività, gusto orientaleggiante, ritmicità martellante e monotona: non siamo di fronte a un gran bel pezzo di musica, ma a un’operazione che testimonia lo smarrimento e il disorientamento di alcuni musicisti, o compositori contemporanei, che hanno perso l’idea di confine, di pertinenza, forse a causa di un’eccessiva libertà che ha finito per ubriacare molti. Cale aveva dichiarato in un’intervista che credeva “che fosse possibile vivere semplicemente da musicista senza dover morire giovane e pazzo come Mozart.” Chissà, invece, se pazzia e morte prematura non sono altro che il fio da pagare per la propria genialità?
da: “il Giornale della Musica”, n.151, 1999 © il Giornale della Musica-Edt / Michele Coralli
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