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In uno dei rari scritti che Fausto Romitelli ci ha lasciato, vengono enumerati con estrema chiarezza punti per un possibile confronto tra il compositore di oggi e il mondo che lo circonda, secondo un ordine di problemi che lascia pochi dubbi: l’impatto tecnologico, il panorama mediatico, l’influenza delle musiche popolari e, in tale contesto, la marginalità della musica contemporanea attraverso l’efficace intuizione della “periferia dell’impero culturale”. Questa lucida consapevolezza entra a far parte in maniera viscerale anche della musica di Romitelli, che mescola e stratifica suoni tenacemente ricercati all’interno degli strumenti. In questo senso la sua chitarra (prima acustica, poi elettrica) ha avuto una vera e propria funzione liberatoria, in quanto capace di dare risposte alle problematiche poetiche ed esistenziali da cui partiva.
Elena, come sei entrata in contatto con la musica di Fausto Romitelli?
La prima occasione è nata con un progetto di Paolo Pachini su alcuni film realizzati da artisti della Bauhaus. Paolo ebbe l’idea di commissionare nuove musiche per questi film ad alcuni compositori italiani, facendone poi uno spettacolo. Tra i compositori c’era anche Fausto, che scelse Ein Lichtspiel di László Moholy-Nagy, un’opera che dà già segnali specifici di vicinanza alla sua poetica. Nella pellicola si vedono una serie di oggetti metallici traforati e sospesi che ruotano in loop. La sua musica riprende ed elabora l’idea del loop in un ricercato ed inedito suono d’ensemble.
Un vero e proprio antecedente di An Index of Metals, celebre video-opera di Romitelli/Pachini.
Sì, credo che la poetica di An Index Of Metals e il titolo stesso possano essere legati a questa prima esperienza. In quell’occasione Fausto mi disse di aver composto un pezzo per chitarra sola e nel 1995 ricevetti la partitura di Solare. Quando la vidi mi fece molta impressione: si trattava di un pezzo difficile, con una scrittura densa e tanti suoni sperimentali. Pur sentendomi attratta dal pezzo, mi ci sono voluti diversi anni per decidermi a suonarlo. La sua densità era tale che, per quanto fosse affascinante – già conteneva elementi importanti della sua poetica nella trasformazione del suono e nella sovrapposizione di più materiali – poneva problemi di difficile realizzazione strumentale. Giravo intorno al pezzo, ma non mi decidevo a suonarlo e così andò, fino alla scomparsa di Fausto. Qualche anno dopo mi decisi a metterlo in programma per un concerto a Milano. Mi scontrai subito con certi passaggi, in cui non era possibile fare quello che lui richiedeva nella legenda. Allora mi rivolsi a Patrizia Rebizzi, che era stata la sua prima interprete. Lei, molto generosamente, venne a casa mia e lavorammo insieme. Mi spiegò cosa avevano cambiato insieme, anche se purtroppo non è mai stato fissato nulla per iscritto, né in un articolo, né tanto meno nella legenda del pezzo, oggi pubblicato da Ricordi.
La densità è una caratteristica paradigmatica in tutta la musica di Romitelli e si manifesta attraverso continui cambiamenti di articolazione che coinvolgono l’esecutore di battuta in battuta.
Sì, fin dall’inizio di Solare le azioni si sovrappongono, si combinano e a volte si raggrumano in figure che sulla pagina occupano pochi centimetri e durano pochi secondi, ma che richiedono un’accurata esplorazione del dettaglio, un lavoro molto lungo da parte dell’interprete.
Anche il brano Coralli presenta caratteristiche simili?
Ha un inizio più “classico”, con gesti e sonorità quasi debussiane. In realtà, man mano che si avanza nel pezzo, anche Coralli presenta una densità crescente, con soluzioni timbriche inedite e nuove complesse articolazioni strumentali. Una ricerca che non si limita a riutilizzare il materiale, ma che ne inventa sempre di nuovo. Il riferimento all’Ariel Song dalla Tempesta di Shakespeare è una delle fonti di ispirazione: nel dettaglio il riferimento al titolo è quel “bones are coral made”, nell’immagine di un corpo che si deposita in fondo al mare e che il mare trasforma in qualcosa d’altro.
La composizione meno nota in questa raccolta è Highway to Hell.
Si tratta di un pezzo insolito, diverso da tutti i precedenti. È composto da un foglio di grande formato sul quale si dispongono da un lato, in fila ordinata, dei percorsi numerati. Dall’altro, in maniera molto libera, frammenti di pentagrammi sparsi sulla pagina bianca, a volte sovrapposti e obliqui, con materiali, gesti, sonorità e tecniche affini a quelli di Solare. Ho fatto una ricerca ad ampio raggio, che ha coinvolto molti altri chitarristi, per cercare la legenda di questo pezzo. Purtroppo non sono riuscita a trovarla da nessuna parte. Ricordi infatti lo ha pubblicato senza legenda, mentre alla Fondazione Cini – dove sono depositati tutti i manoscritti delle opere e gli appunti di Fausto – non si sono trovate spiegazioni su come possa essere organizzato. Io ho scelto di prendermi la responsabilità di farne una versione e di immaginare come Romitelli avrebbe potuto pensare di combinare questi materiali. Da una parte il materiale è estremamente tradizionale, con una serie di lettere e numeri, dall’altra invece ci sono gesti non convenzionali. La mia idea è che si tratti di un pezzo aperto, come la Serenata per un satellite di Maderna.
Quindi un’ipotesi interpretativa.
Sì, e, fino a quando non si troverà la legenda, una delle possibili interpretazioni.
Veniamo al duo La lune et les eaux.
Ho saputo di questo pezzo da una lettera che Fausto mi ha scritto quando mi ha spedito la partitura di Solare. Così nel 2008, rileggendo la lettera, ho parlato con Valentina Romitelli, che, andando a cercare tra le partiture di Fausto nella casa di famiglia, ha mi ha aiutata a ritrovare La lune et les eaux e me l’ha portato. Poi con Jürgen Ruck abbiamo fatto una nostra prima esecuzione a Berna nel 2009. Si tratta di un pezzo estremamente affascinante: anche in questo caso c’è una forte ispirazione nel trasformare il suono dello strumento, un gusto per la sua elaborazione e per l’aspetto timbrico della musica che non è solo estetico, ma diventa strutturale proprio nella sua capacità di lavorare sulla materia. Così come scrive Fausto Romitelli in un suo testo: “Il Suono come una materia in cui sprofondare per forgiarne le caratteristiche fisiche e percettive”. Il risultato è una musica piena di luce, di energia, di una brillantezza veramente unica. E rispetto ai lavori precedenti, qui i loop sono molto più presenti, con figure che si ripetono in maniera simile ma sempre diversa, dando vita ad un meccanismo a tratti incessante, in altri momenti incantato. Lo sfasamento, la sincronia, la sovrapposizione, le diverse combinazioni tra armonici e altre articolazioni, creano un caleidoscopio di sonorità attorno al quale il pezzo continua a girare, producendo una musica dai colori cangianti e ritmi ostinati, come una macchina squinternata e regolare al tempo stesso. Penso alla fontana di Jean Tinguely a Basilea.
Sostanziale mi sembra anche la preparazione delle chitarre.
Sì, è l’unico tra questi brani ad avere una preparazione – Trash TV Trance prevede l’utilizzo di oggetti come l’archetto, il rasoio e la spugna, ma non una preparazione sulle corde. In La lune et les eaux le chitarre vengono preparate con delle graffette per la carta posizionate durante il pezzo a varie altezze lungo la tastiera, uno scacciapensieri nel quale si inseriscono le corde gravi, una spazzola che sfrega la superficie dello strumento, delle clip da busta di nuovo inserite tra le corde gravi, un piattino di metallo che crea un’onda di suono vorticosa e anche bottleneck di vetro nel finale su un’Ave Maria di Lourdes straniata. Le preparazioni dei diversi oggetti come le clip devono essere cambiate durante il pezzo, un aspetto non facile da gestire nelle esecuzioni live.
In Simmetria d’oggetti alla chitarra si aggiunge un flauto dolce.
È un pezzo che ho ricevuto da Fausto quando suonavo in duo con Antonio Politano e che avremmo voluto proporre allora, senza purtroppo riuscirvi, per altri pezzi ai quali stavamo lavorando. Anni fa a Berna, ho dato copia del manoscritto a Virginia Arancio e Teresa Hackel che avevano creato un duo. Insieme hanno lavorato con passione al pezzo, realizzandone una accuratissima interpretazione e proponendolo più volte in concerto. Simmetrie d’oggetti, nella parte di chitarra è costruito con materiali simili ad Ein Lichtspiel e anche in questo caso la musica di Romitelli è capace di trasportarci in una dimensione onirica e incantatoria.
Altro pezzo per flauto è Seascape, scritto per flauto dolce Paetzold.
La prima volta che ho sentito Seascape veniva eseguito da Antonio Politano nel 1994. Era stata una forte emozione, un pezzo senza soluzione di continuità, onde di suono continuamente lavorate, mosse e articolate, senza tregua. Un pezzo estremamente fisico, suonato con il flauto Paetzold, nato dall’idea di trasformare una canna d’organo in uno strumento a fiato, con straordinarie qualità timbriche e di produzione di multifonici. Teresa Hackel, musicista dedita all’improvvisazione e alla musica contemporanea, si è immersa nella poetica di Seascape, diventando interprete di un pezzo dalla rara potenza fisica e comunicativa.
E concludiamo con Trance Tv Trance, un brano che non hai suonato, ma che hai insegnato molte volte.
È un pezzo amato dai chitarristi ed è estremamente significativo nel repertorio sperimentale contemporaneo per chitarra elettrica. L’atto iniziale del chitarrista che tocca il jack collegato all’amplificatore, è un gesto forte, è come poter toccare la corrente elettrica trasformandola in suono.
Forse anche una provocazione glitch, ovvero una cosa che i chitarristi in studio non dovrebbero mai fare con un jack.
Non credo che si tratti solamente di utilizzare l’errore e trasformarlo in suono, è un vero e proprio atto carico di forza espressiva. È proprio come dominare l’elettricità con ciò che l’elettricità produce attraverso il nostro corpo. Una sorta di rito nel quale il musicista assume il potere e l’emozione di toccare l’elettricità. Ogni azione, ogni gesto, anche le citazioni vengono proposte in un incessante magma sonoro con azioni diverse e contemporanee delle due mani, il tutto scritto nel minimo dettaglio nella partitura. Non c’è nulla di lasciato al caso o alla libera interpretazione. Nella successione degli eventi e dei loop si crea un flusso di onde di suono sempre più denso – e anche qui la sovrapposizione dei gesti mette alla prova ogni interprete, nella coordinazione e nella gestione dell’equilibrio tra le varie azioni.
Una poetica più intimista o meglio miniaturizzata quella del primo periodo, più disturbata quella dell’ultimo.
La poetica di Fausto Romitelli si è espressa in modi e tempi diversi. I brani per chitarra che precedono Trash Tv Trance sembrano più intimisti perché la chitarra classica ha volumi limitati. In realtà Solare deve essere amplificato ed è un pezzo raffinatissimo e forte. Contiene eventi esplosivi come l’uso del pizzicato Bartók o lo sfregamento di una corda con l’altra in un rumore metallico che, se amplificato, diventa un rumore di fabbrica siderurgica!
Che rapporto aveva Romitelli con la chitarra?
La sua è la scrittura di un compositore che non è chitarrista. Però sicuramente ha avuto per le mani una chitarra quando ha scritto questi pezzi, sia per i pezzi acustici che per Trash TV Trance. In tutti le indicazioni per l’esecuzione sono estremamente calcolate e dettagliate, anche nel modo in cui ha pensato di combinare e scambiare l’azione delle due mani, ad esempio quando la destra agisce sulla tastiera, e la sinistra si rende autonoma pizzicando le corde. So che aveva lavorato con un chitarrista di Gorizia, Giulio Chiandetti, e anche lui mi ha confermato che Fausto aveva provato certe combinazioni su una chitarra. Credo che fosse molto attratto dallo strumento, anche per la sua passione per il rock. Pur non essendo un chitarrista ha saputo immaginare nuove possibilità, cercando e rischiando molto sulle sonorità e difficoltà di esecuzione, ma riuscendo a creare uno strumento materico dal fascino indiscutibile.
da: Fausto Romitelli / Elena Casoli, Virginia Arancio, Teresa Hackel, “Solare” (CD Stradivarius, STR 37099, 2018) © giugno 2018 Stradivarius / Michele Coralli
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