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Arte multi-dimensionale che promana dall’individuo per arrivare all’individuo: poche mediazioni, tutte di natura tecnologica, ma di una tecnologia che vuole dimostrarsi semplice e fruibile. Non astrusi ripensamenti, ma immediatezza del messaggio, che viene recepito e assimilato, prima che interpretato. Di fronte a qualsiasi invenzione di Laurie Anderson si assiste a una sorta di esibizionismo del mezzo, più che all’esaltazione del contenuto.
Sfidiamo chiunque a dire come suona “The Record of the Time”, piuttosto che descrivere come la retrospettiva su Laurie Anderson si propone: con quali luci, con quali tinte, con quali oggetti, con quali voci e quali paesaggi sonori. Eppure di musica se ne sente parecchia all’interno del logico percorso cronologico allestito all’interno del Padiglione di Arte Contemporanea di Milano.
“Negli ultimi trent’anni mi sono concentrata soprattutto sulla musica e sulla performance. Ho sempre combinato diverse forme artistiche. Le mie opere più complesse includono sempre film o video, animazioni, eleborazioni digitali, musica, elettronica e storie. Ma sono le storie a costituire il filo conduttore costante.”
Storie raccontate attraverso oggetti, come il violino, lo strumento che possiede “il suono che più si avvicina alla voce umana femminile”, che subisce una vera e propria trama di mutazione genetica a partire da Duets on Ice (1975), The Tape Bow Violin (1977), Viophonograph (1977), per arrivare al violino digitale, al violino-video, al violino con l’archetto al neon.
Ma ci sono anche le storie narrate dalla vita stessa, che diventa “arte biografica”, un’arte che viene descritta nei sogni che nascono dai luoghi dove sembra illegale sognare (Institutional Dream Series), oppure quella vergata sulle pagine manoscritte di un libro fatto sfogliare da un circolo d’aria, oppure quella ancora più paradossale del clone di What You Mean We? o dell’alter-ego che racconta le sue sedute psichiatriche.
Ci sono storie che vengono anche narrate dai suoni che vivono nell’ambiente, come quello suggestivo delle cascate del Niagara (Stereo Decoy) o quello meno esoso di Chord for A Room o Duet for Violin and Door Jamb.
Ci sono storie narrate dal corpo e dalla tecnologia applicata ad esso, protesi cyborg dal volto umano, prolungamento del biologico nei mondi digitali.
Arte multiforme, multisensoriale, polifonica, il cui unico rischio è quello di perdere il paracadute tecnologico e ritrovarsi nel deserto dell’umano.
Un mito, come quello di Prometeo, che, come tante storie narrate, raffigura l’uomo che corre verso il cielo, fino a quando il cielo gli si rivolta contro.
dicembre 2003 © altremusiche.it / Michele Coralli
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