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C’è stato e c’è un minimalismo ungherese, poco originale a dire il vero, che ricalca pedissequamente le orme di quello più noto americano (Steve Reich su tutti). Lázló Sáry ne fa parte con tardiva, quanto indifferente adesione. La sua musica non riesce a nutrirsi di quella minima koiné che potrebbe far fare una sostanziale differenza nel giudizio (almeno nel nostro). Troppa aderenza al modello significa inevitabilmente perdere il senso del proprio ruolo nel consesso delle musiche moderne, per quanto anche una musica dal forte sapore minimalista mostri ormai oggi pesantissimi segni di invecchiamento.
Quanto infatti questo linguaggio non sia più in grado di offrire nuove prospettive lo si può capire da un ingeneroso confronto tra ciò che si faceva negli anni ’60 Oltreoceano e ciò che si è iniziato a fare negli anni ’70, ’80 e successivi Oltrecortina. Ovvero nulla di diverso. Nello specifico suona troppo reichiano il Magnificat (1985) per soprano e tre flauti (qui Manuel Zurria in multitracking assieme alla mirabile Alda Caiello), ma verebbe da dire anche troppo feldmaniano (da Morton Feldman) Landscape in C (1982), il cui rimando all’arcinoto In C di Riley non può certamente sfuggire. Per sentire qualcosa di “più mosso”, per quanto “semplice”, bisogna andare alla cromatica Moondog (1990) o alla meno quadrata Niagara (1992) per flauto e percussioni, sebbene è proprio nell’ortodossia del modello per accumulazioni e microvariazioni che troviamo il Sáry più convinto. Allora il “bravo” va soprattutto a Zurria nell’assemblare, da “semplice” flautista (all’occcorrenza percussionista) dischi in solitario o quasi. Dopo un ambizioso progetto che ripercorreva in modo molto più variegato temi del minimalismo e dell’avanguardia americana ed europea (titolo: “Repeat!”) il flautista siciliano torna con un lavoro che sul fronte produttivo riesce comunque a farsi notare meglio di molte altre produzioni contemporanee.
2008 © altremusiche.it
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