Lorenzo Brusci (Timet): oltre il giardino [intervista]

Michele Coralli

L’arte dell’istallazione e della composizione del suono nello spazio ambientale ha già da tempo messo un piede nelle aree più impensate del nostro mondo naturale e artificiale. Il gruppo Timet riscopre gli spazi in cui natura biologica e cultura digitale sembrano poter trovare una possibile convivenza, probabilmente un’Arcadia del futuro.

Ne parliamo con Lorenzo Brusci, meta-compositore, sound-designer e fondatore di Timet, compagine che dal 1993 lavora in campo teatrale e nell’ambito delle istallazioni sonore. Come viene riportato sul sito di Timet:

i nostri sforzi primari includono le tecniche compositive e perfomative per una musica e un’architettura sonora non lineare. Supportiamo la filosofia dell’open data per la distribuzione degli oggetti intellettuali, composiizoni finali, singoli elementi audio e partiture elettroniche incluse.

Cos’è allora Timet e che obiettivi si propone?

«Timet è un gruppo molto aperto: si apre e si chiude. Assecondando movimenti di necessità e lavorando in ambiti linguistici diversi, il corpo flessibile di Timet si riflette continuamente in forme molteplici».

I laboratori che avete attivato sembrano essere il fulcro della vostra attività. Trovo interessante in particolare l’idea del giardino sonoro che vi è stato commissionato in diverse località tra Firenze a Birmingham. Come si sonorizza un giardino e che tipo di stratagemmi avete utilizzato per la spazializzazione del suono?

«Si intendono le ragioni storiche o socio-abitative di un sito installativo, qualunque esso sia, urbano o naturalistico. Le si ricercano, ricomponendole. Storici, architetti, artisti, performer, musicisti, iniziano un dialogo che coglie lentamente l’intenzione critica che darà forza e forma al nostro intervento. Un giardino sonoro in particolare – esperienza che Timet ha iniziato dall’ottobre 2003 in collaborazione con Stefano Passerotti, giardiniere in Firenze – esige pertinenza botanica, coraggio e rigore nelle relazioni oggetto suonante-composizione musicale, consapevolezza acustico-ambientale, che come giustamente intuisci si applica attraverso disegni polifonici. La tecnologia applicata è quella della masterizzazione di DVD video ad uso esclusivamente audio, ma la compressione AC3 non penalizza significativamente la qualità del suono. Del resto la qualità degli altoparlanti è sottomessa alla loro inclusione in oggetti di varia forma e carattere acustico.

Il primo debutto di un nostro giardino sonoro è a Firenze con Fabbrica Europa, la prima settimana di maggio, e sarà proprio il nostro laboratorio Giardino Sonoro la Limonaia dell’Imperialino a inaugurare la serie delle nostre committenze estive. Dal 16 al 20 giugno saremo a Birminghan al BBC gardeners World Live Show per la Royal Horticultural Society e la BBC. Il 23 giugno inauguriamo sempre a Firenze un parco sonoro nella Villa Strozzi al Boschetto, committenza del Centro di Arte Contemporanea Le Papesse di Siena e il Comune di FIrenze (Quartiere 4)».

In questo tipo di esperienze a quali architetti del suono vi siete ispirati?

«Ci sono molte figure di riferimento, primo fra tutti il sound architect svizzero Andres Bosshard, maestro e precursore di molte importanti intuizioni per il ritorno del suono nello spazio. Collaboro con lui da alcuni anni, ho fatto parte del team di registi che articolavano gli eventi della Sound Tower all’Expo 02 di Biel (CH). A Biel ho avuto modo di comprendere radicalmente la condizione ambientale e architettonica dell’astrazione strumentale elettroacustica, sia questa nella forma di musica fonografica o performativa.
Poter dar vita a violente volute elettroniche, con un sistema a più di 30 voci, all’interno di una torre alta 40 metri, e vedere migliaia di persone di ogni età e cultura starsene in ascolto per ore, per poi tornare ancora a cogliere le variazioni… Fiducia nel processo che si espone, suono come dimensione della permanenza e della abitabilità, seppur nella mutevolezza delle prospettive espressive.

Potrei poi citarti l’austriaco Bernhard Leitner, il tedesco Rolf Julius, il britannico Martin Riches, lo stesso Alvin Lucier. I riferimenti sono molti, e non necessariamente solo legati alla presenza del suono, penso al senso della materia di Burri, una forza che ancora lavora molto sul mio suono.

Credo da ultimo che col suono si determini una richiesta pressante di architettura non invasiva, non materiale, fortemente simbolica e permutabile. Per giungere a tutto questo la musica si è prima fatta disco-oggetto e oggi puro flusso informativo, molto simile alle densità luminose…».

Possiamo parlare di land-art, o di qualcosa del genere? Le etichette a volte ci aiutano a districarci all’interno di contesti artistici non convenzionali…

«Non dimentichiamo il valore compositivo del nostro intervento poi anche oggettuale-botanico-architettonico: in questo senso si può continuamente parlare di teatro sonoro, di land art, di sonic art, di semplice fenomeno della presenza, quindi di contemporaneità multisimbolica, nel senso di esprimente una urgenza metodologica nel trattamento della complessità non solo musicologica: le nostre banche dati condivise sono un modello di trattamento congiunto della complessità compositiva, secondo principi open data (il nostro materiale è condivisibile sotto licenza EFF).

Ridistribuzione costante della ricchezza informativa, per far crescere una consapevolezza metodologica ed etica della coesione e della varietà implicita del corpo simbolico musicale complessivo. Le forme di retribuzione economica si riarticoleranno compiendo certamente altri soprusi, ma certamente azzerando la confusione tra atto musicale e commercio dell’ignoranza. Questa è una questione ecologica.

Timet si espone contro una riduzione della complessità che fiorisce nel grande oceano del suono proprio perché vede vitalità e nuova quotidianità dove altri vedono l’interruzione di profitti. Tecnofar musica, riprodurla, copiarla, inoltrarla, alterarla, son tutte azioni nel senso della sua ambietalizzazione o naturalizzazione. Verso una democrazia simbolica più consapevole? C’è chi vorrebbe impedirlo».

Dal giardino al web, Timet è impegnata seriamente anche online attraverso un sito in cui si spinge molto sull’open source attraverso streaming, download e condivisione di risorse sonore consultabili attraverso un database. Promozione o condivisione?

«Ore di materiale musicale intrappolato dentro la forma compiuta di un disco: una delle possibili soluzioni di relazione interna tra le migliaia escluse dal processo compositivo. Cosa fare di tutta questa ricchezza? Credo che molto più del brano compiuto i singoli materiali possano svolgere un lavoro analogo alle analisi partiturali che un tempo distinguevano la tecnica del passato dalla prassi di studio e genesi del presente musicale.

E’ necessario mettere a disposizione i passaggi interni del processo compositivo elettroacustico e acustico, ne trae vantaggio la qualità del sistema musica complessivo; se ciò accade anche attraverso la mia identità musicale perché resa condivisibile nei propri elementi costitutivi, essa stessa potrà divenire più significativa nello stesso processo di autocomprensione del sistema musica. Promuovere e condividere mi sembra una virtuosa alternativa a compra e ignora».

Il progetto Metamorfosi di canzoni napoletane assieme a Konsequenz cambia ulteriormente il quadro complessivo. Rintracciare delle tradizioni quanto più lontane dalle estetiche elettroniche manipolatorie. Cose ne è uscito?

«Restituzioni s’incentrava sul canto popolare toscano; Metamorfosi di canzoni napoletane dialoga con la preesistenza di un disco acustico del gruppo Mariposa (i cui membri sono a loro volta parte di Timet), esso stesso trasformante canzoni napoletane. Quello che ne esce è un a sintesi minore delle possibilità: maggiore è il metodo che esemplifica il nostro risultato. Coraggio di riarticolare il passato, riapplicarlo, dialogando con un presente sospeso oltre la paura dell’eccessiva presenzialità. In questo senso postmodernità è un canone dolce, che ci rende utenti di uno strumento operativo metastorico, ma usare, portare a sé, rendere reversibile, multiproprietario, multi-coincidente l’esito, questa è azione che va oltre la postmodernità. Non si tratta più di citare, ma di manipolare, ristrutturare, inter-relazionare, sintetizzare e poi saggiamente rendere di nuovo disponibile la sorgente di partenza. Se la legge lo permette, che buffoneria questo freno al circolo virtuoso dell’inter-uso».

aprile 2004 © altremusiche.it / Michele Coralli

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