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Partendo dal caposaldo elligtoniano secondo cui improvvisazione e composizione si fondono nella forma della big band, ambito in cui il leader scrive musica sulla base della conoscenza delle singole individualità, ma soprattutto dove su queste si determinano tutti quegli inaspettati sviluppi che solo una pratica dell’improvvisazione può mettere in luce, l’ensemble Zoom dello svizzero Lucas Niggli si è messo al lavoro, prima che sui repertori, sulle relazioni dialettiche che all’interno determinano differenti personalità musicali. Quando poi entra a far parte di un consesso un personaggio ingombrante come Phil Minton, difficile non far ruotare tutto attorno a quella forza della natura. In realtà le polarizzazioni di questo progetto sono più complesse rispetto alla semplicistica relazione gruppo/cantante solista. Prima di tutto perché l’ensemble è frutto della fusione di un quintetto jazzistico (il gruppo di Niggli) con il sestetto classico Ensemble Neue Musik Zürich. In secondo luogo perché, viste proprio le diverse estrazioni in campo, sono molteplici gli incroci degli esiti espressivi.
Costruita come una suite in cui si affacciano echi zappiani, nonché canterburiani, Sweat si apre con l’anthem antinazionalistico No Nation, costruito appositamente per i ruvidi sforzati vocali di Minton. E’ invece successiva l’irregolare Dance for Hermete in cui ha modo di farsi notare l’ottimo trombone di Nils Wogram. Mentre il tutto si chiude in un’improvvisazione guidata da Niggli in cui le diverse polarizzazioni hanno modo di mettersi in luce in un alternanza di approcci: dall’informale al vorticoso thrash.
Un lavoro stratificato, sapidamente jazzistico, forse meno classicheggiante (nel senso contemporaneo) di quello che vorrebbe, scarsamente innovativo, ma godibilissimo. Da gustare naturalmente con la lentezza che richiedono i musicisti di alto livello.
2004 © altremusiche.it
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