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“Caminantes, no hay caminos. Hay que caminar”.
L’estetica di Luigi Nono si è sviluppata, nel corso dei suoi ultimi anni di vita, lungo una dimensione musicale in cui silenzio e spazializzazione sono progressivamente diventate le architravi portanti di un sistema musicale complesso, ricco di prospettive e chiaroscuri. Dai tempi delle prime infatuazioni per l’elettronica la densità sonora si è via via fatta meno palpabile, le dimensioni meno quantificabili e l’orizzonte esteso a valori che superano lo sguardo sensibile. Negli ultimi anni è stata addirittura individuata una fase creativa contraddistinta da caratteristiche che per molti hanno significato, secondo letture molto frettolose, rinuncia al conflitto. Ogni fase creativa è frutto di momenti storici e inclinazioni personali che determinano scelte indotte anche da cose piccole, utilizzate però per guardare lontano. Così un’iscrizione di un antico monastero di Toledo è diventata la trama attorno a cui è stato costruita un’intera trilogia musicale, un corpus di oltre ottanta minuti di musica che segna la conclusione dell’attività di uno dei compositori più importanti del nostro paese (e l’approssimarsi della conclusione del secolo più ricco e controverso per l’arte della musica).
Oltre alle cose che sono già state sottolineate da ben più autorevoli interpreti dell’opera di Luigi Nono ci sentiamo di dire che Toledo ha dato il via a una musica che guarda alle capacità più visionarie dell’uomo, che, superate le estetiche moderniste della fabbrica come luogo di cultura del lavoro (e lavoro della cultura), guarda altresì all’esistenza come dato esperibile di un mistero non risolvibile, ma non per questo trascurabile.
Rimangono appunti disordinati:
No hay caminos, hau que caminar… Andrej Tarkowskij (1987) per sette gruppi orchestrali.
David Maria Turoldo al fratello ateo, nel viaggio che lascia alle spalle le intricate foreste, con semplicità si rivolge: “insieme attraversiamo il deserto”. Lo stesso deserto dell’enigmatica “zona” di “Stalker”, mirabilmente dipinta da Andrej Tarkowskij: un luogo dell’interrogativo in cui è l’uomo unico e solo protagonista di un destino segnato dalle sue paure, più che dai sogni.
“Hay que caminar” sognando (1989) per due violini: gli intrecci di prospettive che si perdono nel supporto, ma che segnano un approdo definitivo dell’arte dello strumento.
Caminantes… Ayacucho (1986-87) per mezzosoprano, flauto, piccolo e grosso coro, organo, tre gruppi orchestrali ed elettronica. Eresie (Giordano Bruno), l’indipendenza del Sud America attraverso la battaglia di Ayacucho, la città della ribellione (confronti impossibili con Uaxuctum, La leggenda della città Maya distrutta da essi stessi per ragioni religiose di Giacinto Scelsi).
2008 © altremusiche.it
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