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La modernità non appartiene al presente, ma all’altro ieri. Oggi ci si illude di trovare il moderno in qualcosa che è mero ripescaggio. Il tradizionale ritardo del mondo accademico rispetto a gran parte del secolo appena concluso può oggi forse oggi dischiudere una volta per tutte quell’enorme quantità di suoni “nuovi”, che nuovi non sono più, ma che conservano il fascino di una fase in cui il vecchio mondo sembrava in fase di superamento. Non è stato così, la storia ce lo dice. Rimangono però i suoni di allora, i suoni di una modernità che oggi non c’è più.
Luigi Nono è stato uno degli artefici di quella modernità fatta di idee applicate alla tecnologia, un abbinamento che nella storia dell’umanità di chiama “progresso” e che oggi non riesce ad essere protagonista. A Pierre. Dell’azzurro silenzio, inquietum (1985), a più cori, per flauto contrabbasso in sol, clarinetto contrabbasso in si bemolle e live electronics, è un’opera di pura perfezione elettronica e strumentale. La sinestesia cromatica, suggerita nel titolo, risulta palpabile all’orecchio in una dimensione acustico-spaziale che dice già tutto, senza bisogno di aggiungere altro, perché quello che una riproduzione non fedele può limitare, viene compensato dal volo di fantasia che certi suoni riescono a stimolare (cosa che il più evoluto degli hadware non riuscirà mai a sviluppare). Il Pierre della dedica è ovviamente Boulez, vecchio compagno dei Ferienkurse für neue Musik e assertore di un’ortodossia seriale quasi “negata” in una composizione come questa, così esplorativa, per non dire spettrale.
Quando stanno morendo, Diario polacco n. 2, commissionato dal Festival Musicale di Varsavia nel 1981, è un’opera poetico-musicale che narra della solitudine e del rumoroso silenzio costruito in modo angosciante e artificioso entro quel mondo enigmatico, delimitato dalla scellerata cortina. Tre soprani e un contralto mettono in musica le parole di altrettanti poeti dell’Est (Boris Pasternak, Czeslaw Milosz, Endre Ady e Velemir Chlebnikov), contornate dal flauto di Roberto Fabbriciani e le live electronics dello stesso Nono e di Hand Peter Haller. “Mosca – chi sei?”; “Come mai non udite il fruscio dell’ago della sorte, questa sarta mirabile?”
Domande a cui non c’è risposta. Cosa rimane allora? Un diario sonoro dall’inestimabile valore culturale. L’arte, quando è cosa reale, crea il monumento a chi vuol ricordare la storia dell’uomo e ancor più la storia della sua anima nei suoi molteplici corpi.
Chiude questa sorta di trilogia elettronica degli anni ’80 di Nono Post-Prae-Ludium per Donau (1987) con Giancarlo Schiaffini alla tuba e Alvise Vidolin alla parte elettronica, un lavoro più sperimentale dei precedenti, una pura indagine timbrica in un dualismo severo tra strumento e macchina, in cui emerge il segno di un equilibrio che oggi riesce ancora a risultare smarrito in un modo musicale contemporaneo che spesso volta le spalle all’elettronica, ignorando il suo volto umano, come quello sviluppato da Luigi Nono.
2008 © altremusiche.it
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